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CHE FAI, ARROSSISCI?

Il viso come un pomodoro, il battito del cuore a mille, il sudore alle mani. Sono alcuni sintomi che segnalano uno scoppio improvviso di timidezza. Come si può arginare. Enrico si era alzato dal letto con una convinzione in testa: questa volta non avrebbe fatto la figura di un paracarro. Sarebbe riuscito a invitare Lisa, la sua compagna di classe, a prendere un gelato con lui nel pomeriggio. Ci aveva già provato due volte, ma lei non se ne era accorta. Il “piano” di avvicinamento si era interrotto praticamente subito, nel senso che non aveva trovato la forza di alzarsi dal suo banco, causa la tremarella alle gambe. Ora non doveva sbagliare. Poteva contare sull’incoraggiamento del suo amico Renato (“Aspetta che rimanga sola, poi buttati”), e sulla frase da rivolgere a Lisa, mandata a memoria quasi fosse una poesia da snocciolare davanti alla prof. Così, quel giorno, quando la campanella dell’intervallo era rimbombata con intensità pari al battito del suo cuore, Enrico aveva seguito con lo sguardo Lisa che, dopo qualche minuto, stava sola in corridoio. Vinta la prima resistenza delle gambe, era partito a razzo verso l’obiettivo. Tirato un gran sospiro, l’aveva chiamata. Lei si era girata sorridente: “Ciao Enrico. Che cosa c’è?”. “Er… Io… Volevo, niente… Volevo solo… salutarti”. Poi aveva girato i tacchi, battendo in ritirata come un esercito dopo la disfatta, con sul volto il colore rosso della sconfitta e della sua inguaribile timidezza. Che cos’è Il caso di Enrico non è certamente isolato. Anzi, è esattamente il contrario. Sono tantissimi i ragazzi e le ragazze affetti da timidezza, almeno 1 su 3, dicono le statistiche. Lo dimostrano anche i lettori di Mondo Erre: nella nostra rubrica di posta Cara Rosy la timidezza è l’argomento più gettonato. I suoi sintomi, però, non si evidenziano solo quando c’è una cotta in vista, ma anche nel relazionarsi con gli altri: durante un’interrogazione, in una discussione di gruppo e così via. Gli è stato dato anche un nome: “sindrome di Mammolo”, come il più timido dei sette nani. Ma che cos’è la timidezza, e da che cosa nasce? La parola stessa deriva dal latino timiditas, che ha l’identica radice del termine timor. E timor significa paura, sorella di quel tipo di apprensione chiamata comunemente ansia. “La timidezza - sostiene lo psichiatra Fausto Manara – scaturisce fondamentalmente da un senso di inadeguatezza, dalla sensazione di non essere all’altezza delle situazioni. Dalla convinzione che così come siamo non potremo mai piacere a nessuno, e dunque dalla paura del giudizio degli altri”. Si manifesta, in molti soggetti, con diversi segni evidenti: il cuore “salta in gola”, le mani incominciano a tremare o a sudare, il volto si paralizza in un’unica espressione, si diventa rossi come pomodori. Disagi e cause Ad accendere la miccia della timidezza sono almeno tre fattori che avvengono simultaneamente. Li ha individuati la psicologa Giovanna Axia: “Il primo è la predisposizione a provare molta paura soprattutto con persone che non si conoscono. Il secondo è la forte consapevolezza di non riuscire a liberarsi dai cambiamenti (rossore, batticuore, ecc.) che stanno capitando. Il terzo è la vergogna e l’imbarazzo per ciò che sta accadendo”. Insomma, oltre a soffrire il disagio, il timido si prenderebbe a schiaffi per le reazioni che sta vivendo, che lo fanno sembrare un imbranato e lo spot vivente della timidezza. Così, si tira giù la saracinesca con il mondo e si diventa isole. Soprattutto, si cerca di stare alla larga da alcune categorie di persone, una delle maggiori cause scatenanti l’insicurezza dei timidi. “Possiamo suddividerle, anche in questo caso, in tre tipi - sostiene la dottoressa Axia - . Il primo, come abbiamo già detto, sono le persone sconosciute, poi quelle in posizioni d’autorità e, infine, gli appartenenti all’altro sesso”. Ad esse, vanno ad aggiungersi i disagi provocati da particolari situazioni sociali, tra cui predomina il fatto di avere gli occhi di un gran numero di persone puntati su di sé, per esempio durante una discussione in classe. Non bisogna sottovalutare, poi, gli stili di vita. Chiarisce il dottor Manara: “La nostra società esalta tutto ciò che rappresenta la forza, la bellezza, la simpatia e boccia tutto ciò che si identifica con il loro contrario. È ovvio che queste condizioni acutizzino le insicurezze e la timidezza”. Le sue radici L’albero della timidezza sembra avere radici profonde. Sostiene Jerome Kagan, dell’Università di Harvard, che ha dedicato la vita allo studio di questo “malessere”: “Ci sono molte ragioni per cui si può diventare timidi e man mano che si cresce le cause si moltiplicano e sono le più diverse. In un bambino di 2-3 anni è probabile che sia di origine biologica, cioè derivante dal suo temperamento. Uno di 9-10 anni può invece “ammalarsi” di timidezza, pur essendone stato immune fino a quell’età”. Un contributo significativo all’esplosione della timidezza può arrivare dalla famiglia. “La maggior parte delle volte – spiega il prof. Manara – la causa s’identifica in una “figura ombra” familiare, di solito padre o madre. Uno dei due, sovente inconsapevolmente, non ha trasmesso sicurezza al figlio o ne ha dissipato la tranquillità con ammonimenti tipo “non ce la farai mai””. Oppure è scattato il confronto con un genitore particolarmente brillante, dalla forte personalità, preso a modello ma irraggiungibile. “È inarrivabile – aggiunge Manara – perché è una figura troppo lontana dalla natura del ragazzo e rende difficile il confronto nel tempo. È scontato che il timido soccomba ogni qual volta deve affrontare il giudizio di un altro, come per esempio un insegnante. In quel momento, rivive proiettata quella figura del genitore troppo severa o irraggiungibile”. Così, nelle situazioni di “allarme rosso”, il timido vorrebbe semplicemente eclissarsi con la velocità di una meteora. Non potendolo talvolta fare, il corpo reagisce con i sintomi ben conosciuti: palpitazioni, tremori, ecc. “Un desiderio di fuga – rivela la psicoterapeuta Daniela Marafante - che dovrebbe fare pensare, perché racchiude in sé la soluzione per superare la timidezza con risultati apprezzabili”. I possibili rimedi Gli studiosi sono tutti d’accordo: la timidezza, se non supera la soglia della fobia, non è una malattia. È un sentimento e come tale è naturale. Quindi niente farmaci o intrugli miracolosi: non servono a nulla. Sorprenderà poi sapere che la timidezza non sempre si manifesta con rossore o sudori freddi. C’è chi previene l’imbarazzo con fiumi di parole e battute di spirito, pur di tenere in pugno la situazione. Quindi, la disinvoltura è sovente una maschera. Talvolta l’apparenza inganna. Questo per dire che i timidi, pur con sfumature diverse, sono davvero tanti. Un recente sondaggio fatto in America su 5.000 persone ha dato questi risultati: l’80% ha detto di essere stato timido o timida in qualche fase della sua vita, mentre il 40% si ritiene timido. “Significa – riflette la dottoressa Axia - , che è una condizione assolutamente naturale soffrire di questo malessere. E sapere di essere in buona compagnia, cambia molto la prospettiva nel cercare di superarlo”. Ma quali rimedi si possono usare? Risponde Marafante: “I segnali che invia il corpo, dalle guance rosse al sudore delle mani, non sono altro che avvertimenti. È come se dicesse: “Guarda che ti senti impacciato non perché sei un incapace, ma solo perché la tua natura è diversa”. Sarebbe bene ascoltare questi suggerimenti e allontanarsi da modelli troppo impegnativi, che si trovano magari in famiglia. E avere più fiducia in se stessi”. Inoltre nessuno è perfetto. Aggiunge Manara: “Il giudizio degli altri è marginale, non fondamentale”. Rincara la dose la Axia: “Nella società servono tutti: individui dinamici e poco sensibili alla paura, ma anche individui capaci di valutare in fretta i pericoli, di spaventarsi e, di conseguenza, di proteggere se stessi e gli altri. La timidezza, quindi, è una variante molto utile della condizione umana. E con le indubbie qualità dei timidi, si vivrebbe in un mondo perlomeno migliore: più rispettoso e silenzioso, meno becero, più civile”. I timidi, in definitiva, devono rendersi conto delle loro ricchezze interiori e da questa base partire per vincere o arginare la timidezza: non dare di se stessi giudizi sempre negativi o pensare di avere qualcosa di sbagliato rispetto agli altri. Suggerisce Manara: “Si deve incominciare a non sentirsi tutti i problemi addosso, cercare di pensare che i protagonisti della propria vita siamo noi e non altre persone, e che la timidezza è un sentimento che ci accomuna agli altri. Non è il caso di nasconderla caparbiamente”. Il timido non è un incapace, solo non indirizza la sua energia nella giusta direzione. Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, suggeriva di ricorrere alla risata, a una robusta razione d’ironia: “Con l’aiuto di un “motto di spirito”, le resistenze interne vengono superate e l’inibizione eliminata”. Scherzare sulla propria timidezza e sui propri difetti può aiutare a cambiare piano piano il proprio atteggiamento. E ad allontanare l’ombra del simpatico, ma timido Mammolo. LUIGI LUCIO
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©AGOSTINO LONGO
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