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PICCOLE STELLE, GRANDI INCOGNITE

Da qualche tempo sono in forte aumento le pellicole e i telefilm che si rivolgono direttamente al pubblico dei ragazzi. Protagonisti attori e attrici della stessa età oggi famosi ma dall’incerto futuro. Come dimostrano tante storie finite male. Una prigione, benché dorata, rimane sempre una prigione, e quando si riesce a uscirne, si tira comunque un sospiro di sollievo. È la sensazione che deve aver provato Elijah Wood una volta sentito risuonare nelle orecchie l’ultimo ciak della saga de Il Signore degli Anelli. La trilogia di film, infatti, lo ha legato al suo importante personaggio, Frodo Baggins, per quattro anni di seguito, tante sono durate le riprese girate in Nuova Zelanda. E oggi, a 23 anni, il bravo Elijah, viste scomparire come un incantesimo le sbarre della sua cella, si ritrova finalmente libero, libero di riflettere anche su quanto accaduto. Con qualche preoccupazione. “Il Signore degli Anelli ha dato sicuramente slancio alla mia carriera – ammette - , ma allo stesso tempo mi ha fatto diventare schiavo di Frodo. Non vorrei che il pubblico mi identificasse con quel personaggio per tutta la vita, impedendomi di crescere come attore”. C’è anche dell’altro, ed Elijah non elude il problema. “La popolarità potrebbe sparire così come è arrivata - aggiunge - , facendomi fare la fine di tante altre precoci stelle del cinema, finite nel dimenticatoio quando è andata bene”. Timore non del tutto campato in aria. Wood ha l’identico ruolino di marcia di parecchie baby-star passate dalle stelle alle stalle con la velocità di una meteora. Anche lui, complice la madre Debbie, era stato iscritto a un concorso per talenti in erba, per poi finire nella produzione di spot commerciali. A 9 anni, una fugace apparizione nel film Ritorno al futuro 2 gli apre le porte di Hollywood. Gira in seguito varie pellicole, fino all’affermazione con Il Signore degli Anelli. E ora forse teme di essere schiacciato dalla notorietà, proprio come è accaduto a Macauly Culkin, con cui ha interpretato anche un film alcuni fa, L’innocenza del diavolo. Questo dramma non è un film Proprio la storia di Macaulay Culkin è, in questo senso, significativa. Diventato famosissimo a soli dieci anni con i film Mamma, ho perso l'aereo e il suo sequel, crescendo non ha mantenuto le promesse. Nel 1990 era strapagato, circondato da mille attenzioni, sempre sulle copertine delle riviste di mezzo mondo, ma non è riuscito a gestire tanta fortuna. Ha infilato una serie di pellicole sbagliate che hanno fatto crollare le sue quotazioni e, insieme a loro, la tranquillità familiare. I suoi genitori si sono separati, litigando sulla gestione del patrimonio del figlio. Lui si è sposato a 16 anni con una coetanea, matrimonio miseramente naufragato nel giro di 24 mesi. Ora è in causa con i genitori, che gli hanno bruciato milioni di dollari, sembra uscito dal tunnel dell’alcol in cui aveva cercato rifugio, ma il suo stato di salute è comunque ancora instabile. Intanto cerca di risalire la china. Stesso copione per Drew Barrymore, solo che questa volta è a lieto fine. Nata a Los Angeles nel ’75, finisce davanti a una macchina da presa per uno spot commerciale quando è ancora in fasce e, a tre anni, compare in un film per la tv. Passa quindi al cinema, dove ottiene la sua grande occasione con E.T. di Steven Spielberg. L’improvvisa notorietà mal si concilia con la sua età e lei incomincia a prendere una brutta strada, lastricata di alcol e droghe. Sembra destinata a una vita infernale, ma nel ’91 trova la forza per svoltare. Si ricovera in un centro di riabilitazione e dopo una lunga cura riemerge dall’incubo in cui era precipitata. Ora è un’attrice apprezzata ma, soprattutto, ha ritrovato serenità. Un esercito di attori teen Le disavventure di Culkin, di Barrymore e tanti altri non sono che la punta di un iceberg. Non si contano, difatti, le baby-star miseramente fallite nello spettacolo. Il dato, però, non ha fermato i numerosi giovani attori che negli ultimi anni si sono affacciati speranzosi in varie pellicole alla ricerca della loro fetta di notorietà. Fanno tutti parte della folta pattuglia di stelle “alle prime armi” che girano film rivolti praticamente ai loro coetanei, con trame, situazioni e dialoghi costruiti apposta per un pubblico di teen agers. Un genere certo non nuovo, ma mai come in questi anni così diffuso, che veicola un fruttuoso merchandising da piazzare sul mercato: diari, poster, orologi, abiti, bibite, ecc. Tutto fa spettacolo e… affari. Non a caso, dal 2000, la rivista Movieline organizza la manifestazione Young Hollywood Awards, una specie di “Notte degli Oscar” in scala ridotta di età, dove si premiano esclusivamente i giovani talenti. Talenti come Colin Hanks e Cameron Douglas, dai cognomi ingombranti. Il primo è figlio di Tom e ha debuttato come assistente alla produzione di Apollo 13, protagonista il padre. Ora ha deciso di seguire le orme del genitore recitando in Band of brothers e Orange County. Il secondo è il rampollo di Michael e ha debuttato in America con It runs in the family, che vede riunita l’intera famiglia Douglas, compreso il celebre nonno Kirk. Non tutti, però, possono contare sulla tradizione familiare. È il caso della lanciatissima Brittany Murphy, alle spalle già 34 produzioni cinematografiche, tra cui 8 mile accanto a Eminem. “Mi sembra di sognare – racconta - . Sin da piccina, volevo entrare nel mondo dello spettacolo. A 13 anni ho chiesto a mia madre di trasferirci in California, mi ha accontentata. Non è stato facile: ho incassato centinaia di “no” prima di ottenere una particina in una fiction tv”. Da allora, non si è più fermata, rivelando il segreto della sua affermazione: “Sono sempre stata un concentrato di energia: parlo e mi muovo in continuazione. E poi metto tanta determinazione in ogni cosa che faccio”. Instancabili e determinate. Sembra questa la formula magica delle baby star applicata fin da quando arrivavano all’altezza delle ginocchia dei genitori, sovente complici nella carriera dei figli. Una solfa che si ripete anche con Hilary Duff, forse la stella femminile più luminosa del firmamento adolescenziale. Nata a Houston nel ’97, a sei anni balla nello Schiaccianoci allestito dal Columbus Ballet Met. Guidata da mamma e papà si indirizza verso la tv e il cinema: spot pubblicitari, qualche parte occasionale. Poi l’affermazione con la sit-com Lizzie McGuire, che le ha dato una tale popolarità da diventare una pellicola dallo stesso titolo. “Lizzie piace – spiega Hilary – perché è una ragazzina alle prese con i problemi di tutti i giorni: la scuola, le cotte, il rapporto con i genitori, le amiche… Negli episodi televisivi, la protagonista si diplomava e il film racconta la sua vacanza premio a Roma”. Nel frattempo studia da pop star: un album di canzoni natalizie nel 2001, un paio di pezzi più moderni, l’ultimo dei quali presente nella colonna sonora della pellicola. La ricerca della normalità Intanto scalpitano altri attori, un elenco che sembra non finire mai. Spiccano Amanda Bynes, che a 13 anni presentava in tv uno spettacolo tutto suo, The Amanda show, diventando così la conduttrice più giovane della storia americana. Oggi ne ha 16 e ha girato una commedia romantica, What a girl wants, con buoni risultati. E poi Frankie Muniz, Anne Hathaway, Christina Applegate, Mandy Moore su cui scommettono negli Stati Uniti. A loro, vanno ad aggiungersi quei nomi più conosciuti in Italia. Sono la tredicenne Alexa Vega e Daryl Saba, nove anni, già compositore-prodigio, che formano la coppia “tecnologica” di Spy Kids. E non potevano mancare Haley Joel Osment e Daniel Radcliffe, i ragazzini più celebri del globo. Il primo si è rivelato con il thriller Il sesto senso, confermandosi poi in A.I. – Artificial Intelligence, rivisitazione in salsa fantascientifica della storia di Pinocchio firmata da Steven Spielberg. Il secondo è diventato il volto di Harry Potter, il maghetto creato sui libri dalla scrittrice Rowlings. Per entrambi, però, la popolarità planetaria non sembra aver creato problemi. “Fuori dal set la mia vita è assolutamente normale – sostiene Osment - . Frequento la scuola e ho tanti amici. È importante per me tornare a casa dopo il lavoro e trovare una situazione confortevole”. Anche Radcliffe è sull’identica lunghezza d’onda: “Sono come tutti gli altri ragazzi: studio, esco con gli amici, vado al cinema. Qualcuno può pensare che non posso uscire di casa senza essere assalito dai fan, ma non è così”. E conclude: “Quando giro, sono seguito da alcuni insegnanti che mi permettono di non perdere le lezioni scolastiche. E attraverso e-mail e sms sono sempre a conoscenza dei programmi della mia scuola”. Sarà. Resta il fatto che, per la maggior parte delle mini-stelle, arrivare al successo e mantenerlo costa parecchio. Pagano con una vita terremotata, in una fase dell’esistenza in cui dovrebbero avere attenzioni diverse da quelle che vengono loro riservate solo perché attori-prodigio. Avrebbero bisogno, insomma, di una “vita normale”. Non meraviglia, allora, la drammatica caduta libera di tante baby-star quando svanisce l’effetto-sorpresa, crescono e non confermano le promesse. Le conseguenze, nella maggior parte dei casi, sono drammatiche: depressione, rifugio nell’alcol e nelle droghe, dilapidazione dei soldi guadagnati. Immediata è la loro sostituzione con altri attori formato bonsai destinati forse a seguire la stessa sorte. La ruota di Hollywood gira, e non tiene conto dei sentimenti. E sullo schermo della vita di questi ragazzi appare troppo presto la parola “fine”. CHIARA GALAVOTTI
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©AGOSTINO LONGO
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