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UNA VITA SULLO SCHERMO


“È da quando ho ventuno anni che volevo fare questo film: esserci riuscito mi sembra un sogno”. Sono parole di Leonardo DiCaprio e la pellicola di cui parla è The Aviator, di cui oltre che essere l’interprete è anche produttore. Il trentenne attore, infatti, era rimasto colpito da giovane dalla drammatica storia di Howard Hughes, magnate americano del cinema hollywoodiano degli anni ’40 con la passione per il volo, e voleva a tutti i costi portarla sul grande schermo.
A dire il vero, non era stato l’unico: alle avventure di Hughes avevano già pensato altri attori e registi, da Johnny Depp a Brian De Palma, ma alla fine è riuscito a spuntarla DiCaprio, che ha convinto anche il regista Martin Scorsese a partecipare al progetto. The Aviator è risultato così il più grosso successo di un genere cinematografico che mai come in questa stagione sembra essere tornato di moda: il genere biografico.

Eroi in pellicola

La parabola di Hughes, difatti, è solo la più eclatante, in termini d’incassi e premi vinti. Nel giro di questi mesi sono passate sugli schermi altre storie di personaggi famosi, le cosiddette biopic, abbreviazione di biographic picture, come chiamano i film biografici in America. Una parola inventata da un pubblicitario per definire un genere vecchio come l’invenzione del cinema stesso. Prova ne sia che la prima pellicola a sfondo biografico, Jean d’Arc, è stata girata nel 1899.
Da allora, non si contano i biopic arrivati nelle sale che hanno costellato la storia del cinema, ma in effetti rare volte si era vista una simile concentrazione come quella degli ultimi mesi.
A partire dal discusso Alexander, imperniato sul grande condottiero macedone Alessandro Magno, interpretato da Colin Farrell e firmato da Oliver Stone. Negli Stati Uniti, il lavoro è stato stroncato dalla critica e il pubblico non si è fatto vedere nelle sale: poco epico, in parte noioso, involontariamente comico, zeppo di errori storici sono stati i giudizi di chi l’ha visto.
Accoglienza più benevola per Neverland, poetico ritratto dello scrittore J.M. Barrie, autore di Peter Pan, che Johnny Depp ha affrontato con bravura; e stesso riscontro ha ottenuto Cinderella man, l’ultima fatica di Russell Crowe nei panni del pugile Jim Braddock, campione dei pesi massimi durante la Grande Depressione. Per Russell, una specie di ritorno al biopic, visto che è stato il matematico Johnny Nash nel pluripremiato A beautiful mind del 2003.

 

Biopic a sette note

Vanno forte anche le biografie musicali, “settore” inaugurato qualche mese fa da DeLovely, profilo di Cole Porter. A lui, bisogna aggiungere la vita del cantante e showman Bobby Darin, raccontata nell’efficace Beyond the sea; e poi The night we called it a day, che narra uno dei pochi insuccessi di Frank Sinatra: il tour del 1974 in Australia.
Al passato più recente si rivolge invece Ray, la biopic dedicata alla tumultuosa esistenza di Ray Charles. La pellicola racconta con dovizia di particolari il lungo e difficile cammino del “genio” del soul, come era soprannominato, da quando diventa cieco all’età di 7 anni fino ai successi professionali, senza risparmiare i passaggi più discutibili della sua vita. A interpretarlo è stato chiamato Jamie Foxx, ottimo attore ma anche bravo pianista e cantante, cresciuto nel coro gospel della chiesa di Terrell, la cittadina texana in cui è nato.
Per ottenere la parte, Foxx ha dovuto avere la benedizione dello stesso Ray Charles, ancora in vita al momento di iniziare le riprese (il musicista è mancato il 10 giugno 2004). “L’audizione è stata dura – racconta l’attore – perché Ray era esigentissimo. Ci siamo seduti insieme al piano, ma lui ha incominciato a suonare una frase jazz e io non riuscivo ad eseguirla. Prova e riprova, alla fine le mie dita hanno replicato quel pezzo. Solo allora Ray ha detto: “Va bene, questo ragazzo è quello giusto”. È stata una bella emozione”.
Intanto è in fase di conclusione Piece of my heart, la tormentata vicenda della cantante Janis Joplin, la cantante bianca con la voce più nera che si sia mai ascoltata, morta a 27 anni per droga. Avrà il volto di Renée Zellweger, reduce dai trionfi del secondo capitolo di Bridget Jones.

 

Un film non si nega a nessuno

Titoli, come detto, di questa stagione particolarmente ricca di biografie, forse perché le idee originali, dalle parti di Hollywood, stentano a farsi largo. In ogni caso, le vite dei personaggi famosi (e anche meno celebri) hanno sempre attirato la mecca del cinema: un film non si è negato nessuno, da Giulio Cesare a Napoleone, da Pasteur a Lindbergh. E registi e produttori, nel girarli, soprattutto nel passato, hanno seguito solitamente una ferrea regola: evidenziare le qualità degli uomini (o delle poche donne) che trattavano e lasciare possibilmente in disparte le loro ombre e difetti.
Il personaggio doveva apparire comunque come un “eroe”, che si battesse su un campo di battaglia o contro dei pregiudizi. Raccontare tutto – sentenziavano allora i produttori - , d’altra parte, era impossibile: meglio focalizzarsi sugli aspetti meno discutibili della vita dell’eroe di turno.
Solo con il passare del tempo, incominciarono ad apparire biografie cinematografiche in cui venivano messe in luce anche le debolezze del personaggio, fino ad arrivare ad oggi, dove addirittura sovente si svelano tutti i particolari. Condottiero o cantante, scrittore o sportivo, la parola d’ordine è rendere “veritiero” il biopic, facendo capire allo spettatore che spesso la vita sotto i riflettori non è proprio una passeggiata e che nessuno è perfetto.
Forse è per questo che oggi i racconti biografici al cinema attirano tanto pubblico. Aggiunge però Martin Scorsese, regista di The Aviator: “Queste storie hanno un grande fascino perché in realtà non sono focalizzate solo su un personaggio. Il mio film, per esempio, fotografa gli Stati Uniti in un momento storico ben preciso, quando nasce la moderna aviazione. Sono convinto che gli eventi nascono dalle persone, non il contrario, e raccontare l’esistenza di certe persone significa studiare le cause degli eventi storici. È un modo per comprendere meglio ciò che siamo”.

CHIARA GALAVOTTI

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