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Generazione 20 parole

Si scrive “quant’altro” o “quantaltro”? Il plurale di latte esiste? Si può usare “piuttosto che” al posto di “o”? Si dice “cioccolata” o “cioccolato”? È corretto il verbo “attenzionare”? E “qual è” vuole l’apostrofo, oppure no? Sono alcune delle tante domande che arrivano ogni giorno all’Accademia della Crusca, l’istituto che si occupa di studi e ricerche sulla lingua italiana.RAGAZZI
 
Il servizio di pronto soccorso raccoglie in una casella di posta elettronica tutto ciò che si ignora delle parole e della grammatica. Una piccola redazione di esperti, a Firenze, risponde on line o via e-mail, gratuitamente. Non ci crederete, ma l’ansia di chi cerca risposte sicure in merito alla nostra lingua nazionale cresce ogni giorno. I quesiti sono in aumento progressivo. Li inviano insegnanti, professionisti, curiosi anche lontani da studi umanistici. Ma, ahimé, pochi studenti.
 
Eppure l’allarme che arriva dai linguisti riguarda proprio i ragazzi: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che persino i termini più semplici che l’insegnante pronuncia con indifferenza durante le lezioni, per loro talvolta sono incomprensibili. “Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro”, ha scritto un giovanotto nel test d’ingresso per le facoltà a numero chiuso. E se questo accade all’Università, figuriamoci prima.
 
“I giovani che arrivano dalle scuole superiori sono semi-analfabeti”, dichiara senza mezze misure il magnifico rettore dell’ateneo bolognese, Ivano Dionigi. Ovviamente, non bisogna fare di ogni erba un fascio, ma le regole della lingua di Dante sembrano sconosciute alla maggioranza degli studenti.
 
Secondo una ricerca del Centro europeo dell’educazione, l’8% dei nostri laureati non è in grado di utilizzare pienamente la scrittura. Anzi, peggio: 21 laureati su 100 non vanno oltre il livello minimo di comprensione di un testo. E cioè, se proprio va bene, riescono a capire che cosa stanno per mangiare leggendo un menu al ristorante.
 
Dice un preside: “ I ragazzi navigano con disinvoltura su Internet, sono veloci come prestigiatori con i telefonini, ma bisogna spiegargli che il congiuntivo non è una malattia degli occhi. Soprattutto dobbiamo di nuovo affidarci al dettato, perché ignorano l’ortografia e conoscono pochi vocaboli”.
 
Di vocaboli (“lemmi”) il dizionario Zingarelli ne ha 120 mila e una persona di media cultura ne usa circa 13 mila. Il parlare di tutti i giorni, però, è affidato a non più di 2.500 parole.
 

La prevalenza dell’immagine

Come nasce lo “studente analfabeta”? Tullio De Mauro, il più noto dei nostri linguisti, non ha dubbi: “I guasti iniziano nella scuola dell’obbligo che non sbarra il passo a chi non è preparato. Ma il disprezzo per la lingua risiede anche in certi ragazziromanzi di nuovi autori, pieni di parolacce e di scorciatoie, e nel linguaggio sempre più sciatto dei giornali”.
 
Sarà come dice l’esperto, ma vale forse la pena di ricordare che in Italia soltanto 98 persone su mille acquistano ogni giorno un quotidiano, mentre in Giappone sono 644; e che un laureato su tre ha meno di 100 libri in casa, quasi sempre quelli che ha dovuto sfogliare per strappare il “pezzo di carta”. Quindi, più che leggere male, non si legge proprio. Se la lingua si inaridisce la colpa è un po’ di tutti: scuola, editoria, giornalismo. Nell’ansia di farsi capire, si attestano sul livello più basso, confondendo semplicità con semplicismo.
 
Le lacune sembrano venire da lontano. E cioè dai linguaggi in cui i ragazzi sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematiche e veloci. Osserva Gian Luigi Beccaria, un altro illustre linguista: “L’uso esclusivo di telefoni cellulari e computer come strumenti di comunicazione non aiuta certo la nostra lingua. E la prevalenza dell’immagine porta a una disattenzione verso i testi. Soprattutto, mancano le basi: l’abbandono della grammatica e della fatica della sintassi hanno conseguenze nefaste”.
 

Il linguaggio nuovo

È una ignoranza diffusa, anche fuori confine. Secondo una ricerca inglese che analizza il linguaggio giovanile sul web, i ragazzi comunicano fra di loro con 800 vocaboli, ma in un terzo delle conversazioni le parole ricorrenti sarebbero soltanto una ventina. È un linguaggio che cambia velocemente.
 
ragazziEcco le ultime espressioni della nostra “generazione 20 parole”. Bella è un saluto, rivisitazione del vecchio “ciao”; accollarsi si usa quando uno non sa stare al suo posto e rompe; screziare per “litigare”; scialla è qualunque cosa vada bene; sclerare, per “arrabbiarsi, dar fuori”; starci dentro, per sentirsi a proprio agio; flasshare, “te lo sei immaginato”. E, naturalmente mitico, che va pronunciato con molte “o” e problema (tutto quello che non funziona), la parola in assoluto più usata dai teenager.
 
C’è chi teme che l’abitudine a parlarsi attraverso il computer e i cellulari possa trasformarsi in un handicap insuperabile per il futuro dei ragazzi. Altri, invece, ribattono che “una molteplicità di strumenti linguistici è vitale per trovare lavoro e vivere meglio nel mondo”. E osservano che il linguaggio di Internet non è lo stesso usato in un compito in classe. C’è da augurarselo, altrimenti venti parole (o 800 che siano) non basterebbero davvero per conquistare un lavoro e avere successo nella vita.
 

LA SCHEDA 

Le risposte della Crusca

All’inizio dell’articolo qui accanto proponiamo alcune delle domande che arrivano al servizio di pronto soccorso dell’Accademia della Crusca.
 
Le risposte sono quasi ovvie. Ma nel caso servissero, eccole: 1) la forma corretta è quant’altro; 2) Sì: quando si fa riferimento a diverse qualità di latte, il plurale diventa latti; 3) No: piuttosto che introduce un confronto e non un’opzione; 4) cioccolata e cioccolato sono considerati sinonimi. Però la prima di solito indica la bevanda ottenuta sciogliendo a caldo polvere di cacao in acqua o latte (“una tazza di cioccolata calda”). Il secondo è la sostanza alimentare confezionata (“una tavoletta di cioccolato”); 5) il verbo attenzionare è una parola recente, ma ormai riconosciuta dal dizionario dei neologismi; 6) qual è va scritto sempre senza l’apostrofo.
 

Le 50 parole da salvare

Il dizionario Zingarelli recentemente ha varato un concorso per le “50 parole da salvare”: 800 insegnanti hanno scelto i vocaboli da tenere in vita per non svilire troppo la nostra lingua.
 
Eccoli: “Abominio, accozzaglia, agiato, agognare, ameno, angusto, artefice, arduo, blaterare, becero, bislacco, blando, brama, canuto, cavillo, caterva, ceruleo, ciarpame, cocciuto, consono, culmine, disputa, duttile, dovizia, ebbro, eloquio, flebile, forbito, furtivo, ghiotto, ghiribizzo, indole, inaudibile, ineffabile, intonso, madido, nefando, oblio, panacea, recondito, repentino, sagace, stratagemma, tedio, terso, uggioso, vaghezza, venale, vessare e zotico”.
 
Se qualche termine non vi appare chiaro, sfogliate il dizionario: è un esercizio che andrebbe fatto con più frequenza.
 
©Mondo Erre - Cenzino Mussa
 

 
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