Due sport (per ora) soltanto da vedere: “Kitesailing”, veleggiare con gli aquiloni, e “Open water”, ovvero nuoto di gran fondo. Il fascino di giocare con i venti e di gareggiare in mare aperto anche per 80 chilometri. Incontro con due campionesse.
Ecco una donna, trainata da un aquilone, che gioca con i venti e vola felice sulla neve con gli sci ai piedi, oppure con la tavola sulle onde del mare. Ed eccone un’altra, un po’ più giovane, che sfida l’acqua con il nuoto di gran fondo, anche 80 chilometri per gara. Sono sport affascinanti, ma da praticare al tempo giusto, dopo le lezioni degli istruttori e gli opportuni allenamenti. Soprattutto bisogna avere la pazienza che il tempo sviluppi appieno la muscolatura e dia la forza necessaria. Cosa che avviene attorno ai vent’anni. Nel frattempo vediamo come sono questi nuovi sport e ascoltiamo due campionesse che li praticano.
Partiamo dal kitesailing, che significa pressappoco "veleggiare con gli aquiloni". Consiste nel praticare tutte le normali tecniche di navigazione a vela, utilizzando aquiloni per il traino di imbarcazioni leggere, di solito un trimarano. L’attività si è sviluppata dal 1987, quando un ingegnere neozelandese, Peter Lynn, ha progettato un aquilone dal rivoluzionario profilo ellittico (il Peel) capace di sviluppare grande trazione. Suo è anche Buggy, il triciclo con sterzo diretto utilizzato per correre sulla terraferma. Poi è venuto il Buggy Boat, un'imbarcazione leggera (pesa meno di 20 kg) con i tre scafi in vetroresina e di pratico trasporto in quanto facilmente smontabile: misura 3,3x1,75 metri e, una volta chiusa, 2,15x0,6 metri. Può navigare in una gamma di venti che va da 5 a 100 km/orari.
Dal kitesailing derivano lo snowkite ed il kitesurf. Si tratta di due attività sportive rispettose dell’ambiente, affascinanti grazie alla combinazione degli elementi acqua e aria. Le palestre sono il mare, il lago e la montagna. I luoghi dove si pratica kitesailing si chiamano spot e, ovviamente, sono lontani dalle aree troppo frequentate, strade, linee elettriche, eccetera.
Ma perché uno dovrebbe praticare uno sport estremo? È la prima domanda che rivolgiamo a Laura Calvano, detentrice del titolo italiano di snowkite. La risposta è immediata: “Perché è appassionante e, dopo un’adeguata preparazione, meno pericoloso che andare in motoretta”.
IN COMPAGNIA DEL VENTO
DOMANDA:Quando hai iniziato a divertirti con il kite?RISPOSTA: La mia kite-avventura è iniziata qualche anno fa, durante una vacanza nell’isola greca di Kerkira: il mio fidanzato ha avuto l’idea di cedermi il controllo di un piccolo delta acrobatico che scheggiava nel cielo come impazzito. Inutile che racconti com’è finita quella corsa, ne conservo ancora i… segni, ma da allora la sua passione è diventata anche la mia. Il vero battesimo della trazione l’ho avuto con il C-Quad 4.2 di Peter Lynn, un kite che mi fece sperimentare l’adrenalina delle prime scivolate in spiaggia, i primi salti e i primi body-drag al mare. Poi in Sardegna ho seguito un corso base di kitesurf.
D. Maniglie o barra?R. Ho iniziato con le maniglie. Sono più tecniche, danno un controllo più preciso, ma preferisco la barra perché in navigazione mi permette di rilassarmi ogni tanto e consente un maggiore controllo durante i salti.
D. Hai mai avuto incidenti che ti hanno spaventata?R. Agosto 2001, Porto Pollo, raffiche di vento oltre i 30 nodi: mi divertivo a fare body drag con un piccolo foil. Dopo aver percorso la baia abbassai a bordo finestra il kite, ma una volta a terra presi in mano entrambe le linee per evitare che continuasse a correre sottovento. Con l’incoscienza del principiante feci due giri di cavi attorno alla mano destra. Per fortuna riuscii a liberarmi in fretta... ma non abbastanza per evitare di procurarmi due tagli profondi.
D. Quali emozioni provi quando vai in kite?R. Sono attimi intensi, difficili da raccontare. Quando riesco a dominare il vento e respiro la libertà del volo, magari accompagnata da un’aquila che mi segue. Oppure quando mi immergo al tramonto nella pace della natura e il silenzio del paesaggio alpino è rotto dal sibilo delle linee e dal fruscio delle lamine degli sci che spigolano sul fondo ghiacciato. E ancora nel momento in cui le onde mi fanno da trampolino, lasciando dietro la bianca scia della mia tavola...
D. Preferisci il kitesurf o lo snowkite?R. Sono molto simili e mi piacciono entrambi perché si gioca con il vento. Lo snowkite però richiede un maggiore spirito di dedizione, una maggiore resistenza fisica.
D. Dove pratichi di solito questo sport?R. Nella stagione bianca mi sposto al Col du Lautaret, fra Briançon e Grenoble, in Francia. Si trova ad oltre 2.000 metri di quota con innevamento garantito da dicembre ad aprile e alta percentuale di giorni ventosi. Frequento anche Vetan, sopra Aosta, che pur avendo meno vento è un vero paradiso per le possibilità di esplorare grandi spazi. Ma ci sono tanti spot fantastici tra Piemonte, Valle d’Aosta e il confine francese. Durante la bella stagione ripongo gli sci per tirare fuori dalla sacca la mia tavola. Lago di Serre Ponçon (a Embrun, in Francia), Gera Lario, Albenga, Andora, fin giù in Toscana, sono le zone che generalmente frequento nei weekend. Poi due settimane in Puglia dove si trova il vento più pulito e regolare d’Italia.
D. Segui un allenamento particolare?R. Dedico almeno un’ora al giorno per tenermi in forma, anche quando gli impegni di lavoro mi sottraggono del tempo. Inoltre cammino molto e ogni volta che posso faccio corsa, bici, trekking, sci, nuoto.
D. Tutti possono imparare i tuoi sport?R. Certamente. È bene però affidarsi a bravi istruttori ed essere molto prudenti.
D. Sei detentrice del titolo italiano di snowkite. Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?R. Continuare a partecipare ai campionati e alle gare per migliorarmi. Comunque, al di là dei risultati, pratico questi sport perché mi divertono e mi permettono di conciliarli con un’altra mia grande passione: viaggiare. È essenziale per me. Il viaggio serve per studiare, conoscere, scoprire gli altri popoli e la loro cultura. È bello ritornare a casa per raccontare le emozioni del girovagare per il mondo e poi partire di nuovo.
CONTRO LE ONDESentiamo ora la nuotatrice di gran fondo. Laura La Piana ha 23 anni, vive a Torino ed è diplomata in ragioneria. Entrerà presto nel “Gruppo sportivo della polizia”. Nuota e gareggia in piscina sin da piccolissima, tre anni fa ha iniziato a praticare l’open water.
D. Che cos’è l’open water?R. Significa nuotare in acque aperte, mare o lago è identico. Le gare nazionali prevedono la traversata di 5, 10 e 25 km; le gare mondiali arrivano fino a 80 km. La competizione vede impegnati una trentina di atleti che partono contemporaneamente; li segue una barca d’appoggio con un accompagnatore per ogni partecipante per permettere ai nuotatori di rifornirsi durante i percorsi più lunghi.
D. Come ti alleni?R. Tutti i giorni in piscina. La federazione organizza i ritiri durante i quali i componenti della squadra si allenano insieme. C’è la collegiale di inizio anno, un “ritiro” dove ci prepariamo atleticamente con la corsa, la palestra e ovviamente il nuoto. C’è poi una riunione intermedia che solitamente si svolge all’estero in luoghi come la Florida, per favorire l’ossigenazione con l’allenamento all’aperto.
D. Durante l’allenamento, si effettuano già delle selezioni?R. Sì, in base agli appuntamenti annuali, per esempio gli europei. Per i mondiali vengono selezionati gli atleti che in allenamento hanno fatto i tempi migliori.
D. Sei la più giovane della squadra. Quali sono state le tue vittorie più significative fino ad oggi?R. Circa tre anni fa, al mio esordio, nelle selezioni per i mondiali sono arrivata seconda, dopo la Valli che era la campionessa del mondo in carica. Un’altra grande soddisfazione l’ho avuta l’anno successivo quando ho staccato il pass per i campionati europei di Berlino. Ai mondiali di Barcellona sono arrivata quinta.
D. Anche con il nuoto in piscina hai ottenuto buoni risultati?R. Al campionato italiano a Roma sono arrivata terza e nella gara degli 800 metri seconda. Di recente c’è stato il campionato a squadre e siamo passati in serie A.
D. Durante le gare di gran fondo, dove trovi la forza per nuotare cinque, sei ore di seguito?R. Forse più nel cervello che nei muscoli. Ho perso di recente l’affetto più caro, mio padre, con il quale ho sempre avuto un rapporto splendido. Il pensiero di dargli ancora una volta la soddisfazione di vedermi arrivare al traguardo mi da la carica per superare le difficoltà.
D. Mai una delusione?R. Alle gare europee di Madrid dell’anno scorso confidavo di portare a casa una medaglia. E difatti ero in testa, mancavano pochi chilometri al traguardo quando il mio accompagnatore mi disse che ero stata squalificata: avevo superato una boa dalla parte sbagliata. Se me lo avessero comunicato prima avrei potuto rimediare, ma ormai era troppo tardi. Tra l’altro, quell’errore non mi aveva dato nessun vantaggio. Peccato, ma bisogna anche superare le delusioni.
D. Riesci a conciliare l’attività sportiva con la vita privata?R. Non è facile. Gli allenamenti occupano gran parte della giornata, i continui spostamenti all’estero e i ritiri rendono difficili i rapporti sentimentali. Per fortuna siamo un gruppo molto affiatato e posso affermare di aver trovato quasi una seconda famiglia nella squadra.
D. A quale età consiglieresti di praticare l’open water?R. Intorno ai 25 anni. Per affrontare le gare e gli allenamenti stremanti serve maturità e spirito di sacrificio. Questo sport non ti mette “sotto i riflettori”. Forse anche questo spinge la maggior parte dei ragazzi a scegliere altre discipline.
D. Hai un modello al quale ispirarti?R. Sicuramente mi piacerebbe emulare le imprese di Viola Valli. Oltre a essere un’atleta straordinaria, è stata una buona compagna . Mi sono allenata con lei fino a qualche mese fa, prima che lasciasse l’attività. Spero di raggiungere i suoi traguardi.
LAURA VOLPICELLA