Doppia meraviglia

Due. Non si sfugge a questo numero quando si parla del film La stanza delle meraviglie, visto che ritorna spesso e volentieri. Due sono le storie che s’intrecciano tra loro, due i protagonisti principali, due le epoche lontane che scorrono in parallelo, due le tecniche di ripresa usate nella pellicola. Un “dualismo” generato dall’omonimo libro di Brian Selznick, best seller uscito nel 2012, che oggi è stato trasformato appunto in una coinvolgente pellicola firmata dall’ottimo regista Todd Haynes.

Un romanzo diventato un classico della recente letteratura per teenager imperniato sulle vicende di Rose e Ben, due ragazzini sordi, che si svolgono in epoche diverse: per la prima nel 1927 e per il secondo nel 1977. Una trama che Selznick aveva impaginato in modo originale, sotto forma di scrittura per raccontare le avventure di Ben e usando i disegni per descrivere quelle di Rose, in una sapiente alternanza di parole e immagini.

Un’opera grafico-letteraria, dunque, che ha subito preso i contorni della sfida per poterla girare e che ha portato lo stesso Selznick a scendere in campo per la sceneggiatura. «Era la prima volta che ne scrivevo una – commenta – ed è stato interessante tagliare parti del racconto e scoprire cosa era assolutamente necessario tenere per lo sviluppo del film».

Così, mentre tagliava e ricuciva il suo romanzo, gli si è accesa la lampadina nel cervello. «Nel libro le due storie sono raccontate con tecniche distinte e per renderle differenti anche nel film ho suggerito di girarne una in bianco e nero senza dialoghi, e l’altra con il colore e il sonoro. La mia idea era di portare sullo schermo una storia muta con un linguaggio visivo».

L’idea piace tanto anche a Todd Haynes, che intravede la possibilità di confezionare un lungometraggio particolare. «Volevo che fosse un film speciale – sostiene – , dove i ragazzi ma anche gli adulti si trovassero di fronte a qualcosa di unico e di raro. Descrivere le due epoche in cui agiscono i personaggi a distanza di 50 anni l’uno dall’altra alternando diversi modi di girare, mi ha subito convinto. Qui prevale l’essenza del cinema, ossia raccontare soprattutto per immagini».

Ecco così i due protagonisti muoversi in storie parallele, diversificate, come accennato, dall’utilizzo del bianco e nero per Rose e del colore per Ben. La ragazzina vive nel New Jersey sola con il padre, quasi isolata dagli altri per via della sordità. Stravede per un’attrice famosa del cinema muto, Lillian Mayhew, di cui raccoglie foto in un elaborato album. Quando Mayhew arriva a New York per recitare a teatro, Rose decide di partire per la metropoli con l’intento di incontrarla.

Il ragazzino, invece, abita in Minnesota, anche lui ha perso l’udito causa un incidente avvenuto dopo la morte della madre. Ha degli incubi ricorrenti, in cui è inseguito da un branco di lupi. Una notte, svegliato dall’ennesimo brutto sogno, fruga tra gli oggetti della mamma e trova il vecchio catalogo di una mostra di New York sulle origini dei musei, i cosiddetti gabinetti delle meraviglie. È la molla che lo fa partire verso la città, alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto.

Le vicende, come una pallina da ping pong, si alternano così nel film, seguendo gli avventurosi episodi che vivono Rose e Ben nella loro apparente missione impossibile di raggiungere New York. E una volta arrivati, il caos e la confusione della metropoli li stordisce e non li aiuta, oltre tutto con l’aggravante della difficoltà di comunicare cui li costringe la loro condizione di sordi.

Ben e Rose, per tirare il fiato, spinti da una forza insondabile, finiranno al Museo di Storia Naturale, dove le loro rispettive storie troveranno finalmente compimento e dove affronteranno le domande cui cercano disperatamente di dare una risposta da tempo.

È una pellicola che ha dato grandi stimoli al regista. «È stato affascinante – dice Haynes – lavorare intrecciando due stili di riprese così diversi, passando dagli anni ’20 del cinema muto ai vivaci anni ’70. Il fatto che i personaggi fossero poi tutti e due sordi mi ha costretto a sviluppare altri linguaggi: la musica, prima di tutto, che occupa uno spazio decisivo, sostituendosi spesso ai dialoghi; e poi i gesti, con la lingua dei segni e delle mani».

Il cast non tradisce le attese. Rose è interpretata da Millicent Simmonds, quindicenne non udente al suo esordio sul grande schermo, scelta tra 250 aspiranti alla parte. Ha una carriera un po’ più nutrita tra cinema e tv, invece, Oakes Fegley, nei panni di Ben, noto principalmente per la sua partecipazione al fantasy Il drago invisibile. Accanto a loro, svettano gli adulti Julianne Moore (Lillian Mayhew) e Michelle Williams (Elaine), attrici dalla solida fama.

Negli Stati Uniti, La stanza delle meraviglie è stato un successo, con un incasso in sole cinque settimane di programmazione di un milione di dollari. «Sono soddisfatto – osserva Haynes – , non avevo mai fatto un film basato così tanto sull’immaginazione dei ragazzi, anche se il punto cruciale della storia è capire perché queste due vicende riescono a convivere insieme». Un mistero da scoprire solo entrando nella Stanza delle meraviglie.