Non ci sono dubbi. Quel puntino rosso e blu che sfreccia come una biglia impazzita di un flipper sopra i grattacieli, zigzagando tra le nuvole alla velocità della luce, non è un uccello e neppure un aereo: è Superman, il numero uno dei supereroi. A quasi vent’anni dall’ultima apparizione sul grande schermo, l’eroe venuto dal pianeta Krypton sta conquistando i cinema di tutto il mondo in “Superman returns”, diretto dal regista americano Bryan Singer.
Contro il male
Dopo aver trascorso alcuni anni lontano da casa, Clark Kent torna a Metropolis, la città che ha scelto per vivere e lavorare. L’accoglienza - però - non è delle migliori: l’odio e la violenza sembrano regnare incontrastate su Metropolis e scorrere a fiumi lungo le sue strade. Ovunque si respira un’aria impregnata di sospetto e di tensione: tutti diffidano di tutti e ciascuno pare pensare solo a se stesso.
Nonostante l’atmosfera opprimente, Clark contatta gli amici di un tempo e riprende il proprio lavoro di reporter al Daily Planet. Ma tutto appare irrimediabilmente mutato: i compagni di un tempo sono presi da mille impegni, la splendida Loise Lane - la giornalista di cui Clark è segretamente innamorato senza essere ricambiato - è diventata mamma e i colleghi del Daily Planet, approfittando della sua bontà e della sua ingenuità, gli affibbiano le inchieste più rischiose e meno importanti.
Deluso e amareggiato, Clark non ha tempo per abbandonarsi alla tristezza e - per salvare l’umanità dalla catastrofe - si prepara ad affrontare l’ultima insidiosa minaccia del suo più antico nemico: il ricco e cattivissimo Lex Luthor, che non ha mai abbandonato la folle speranza di diventare padrone del mondo e sta per sferrare l’attacco finale alla Terra. Ancora una volta - per mandare in frantumi i diabolici piani di Luthor - Clark indossa i panni di Superman e mette i propri superpoteri al servizio del genere umano.
“Tu somigli a Reeve”
Per dar vita a “Superman returns” il regista Bryan Singer - intenditore doc di supereroi e di effetti speciali, dal momento che è il “papà” dei primi due capitoli della saga di X-Men - ha impiegato un anno e mezzo. Le riprese - iniziate nei primi mesi del 2005 - sono state realizzate in gran parte in Australia senza badare a spese, dal momento che il budget messo a disposizione dai produttori ha sfiorato la stratosferica cifra di 250 milioni di dollari.
A regalare volto e muscoli al protagonista - che ha avuto il difficile compito di sostituire l’indimenticabile Christopher Reeve, che ha interpretato i primi quattro episodi della saga - è il ventiseienne Brandon Routh. Nato il 9 ottobre 1979 negli Stati Uniti, Brandon si è appassionato alla recitazione fin dai tempi del liceo. “Studiavo letteratura inglese perché volevo scrivere romanzi e scalare le classifiche dei best seller - racconta con l’aria di chi intuisce di essere salito sul treno giusto per vivere una carriera da star - ma il fascino del palcoscenico e la gioia di esibirmi davanti al pubblico dei miei compagni nelle recite di fine anno erano sensazioni impagabili. Decisi così di mettermi in gioco”.
Abbandonata la tranquilla città di Des Moines, nello Iowa, si è immerso nella confusione e nel caos di Los Angeles, in California. Ha lavorato come modello e si è sottoposto a centinaia di provini, ottenendo piccoli ruoli in telefilm e sit-com. Ma la fortuna - nonostante le difficoltà - era dalla sua parte. “Per non morire di fame e arrotondare i magri guadagni di attore - continua Brandon - facevo il cameriere in un bar di Hollywood. Un giorno una cliente ha cominciato a scrutarmi con attenzione e dopo qualche minuto ha esclamato: “Sei identico a Cristopher Reeve!”. Mi ha detto che era l’assistente dello sceneggiatore di Superman returns e mi ha convinto a fare il provino per la parte del protagonista”.
Le scene più difficili e noiose da interpretare sono state - per sua stessa ammissione - quelle in cui vola, perché “non è divertente stare imbrigliato per molte ore come un salame e, grazie agli effetti speciali, dare l’impressione di sorvolare città e oceani. Il rischio di apparire goffi o ridicoli è un pericolo sempre in agguato. Le sequenze dove credo di aver dato il meglio di me, invece, sono tutte quelle in cui Clark è costretto a fare i conti con i “bidoni” degli amici, con le delusioni amorose e con i tiri mancini dei colleghi”.
La caratteristica di Clark che più lo ha colpito - confida - è che egli “potrebbe usare i superpoteri a proprio vantaggio, anche solo per conquistare l’amata Loise, ma non lo fa: accetta i rischi e le sconfitte di una vita normale e diventa Superman solo quando qualcuno è in pericolo e deve essere salvato”.
“Se Superman returns avrà successo - conclude Brandon, con sguardo furbetto - riprenderemo l’intervista nel 2009, per parlare del sequel”.
CARLO TAGLIANI
