Non è un caso che la “parola-chiave” di Paolo Meneguzzi per questo 2007 sia “Musica”, con cui ha intitolato il brano che ha presentato a Sanremo e il nuovo album. Lui, infatti , tra le sette note ci ha “sguazzato” fin da bambino, complice la famiglia con folta rappresentanza di musicisti, dal papà al nonno. Ed è proprio il nonno a regalargli una chitarra quando ha 8 anni.
Per Paolo, la sei corde non è un giocattolo e incomincia a suonarla per appuntare le prime acerbe composizioni. Crescendo, decide di fare sul serio, buttandosi nel “girone infernale” dei provini regolarmente bocciati dalle case discografiche, delle esibizioni mal pagate nei locali, dei concorsi per emergenti.
La svolta arriva quasi per gioco. Paolo invia una sua canzone al Festival di Vinha del Mar in Cile e viene invitato a rappresentare l’Italia. Con l’espressione di sorpresa dipinta sul volto, vola nel Paese sud americano, sale sul palco, canta il suo pezzo, “Arià Ariò”, e vince la manifestazione.
Da quel momento tutto cambia. Si apre il mercato latino e Paolo diventa una stella sotto quelle latitudini: due album dalle vendite milionarie, “Por amor” e “Paolo”, e tour acclamati. Una bella soddisfazione per l’artista che però mastica un po’ amaro.
In Italia, infatti, non se lo fila nessuno e a lui piacerebbe sfondare anche nel suo Paese. Così, nel 2000, torna dalle nostre parti più agguerrito che mai. Segue, come un qualsiasi esordiente, la solita trafila di partecipazioni a varie manifestazioni canore (Sanremo, Un Disco per l’Estate, ecc.), puntellate dall’uscita di singoli e album sempre più venduti. E nel 2004, finalmente, fa il botto con il brano “Guardami negli occhi (Prego)”, presentata al Festival ligure, e il successivo album “Lei è”. Replica l’anno dopo con il singolo “Non capiva che l’amavo” e il disco “Favola”, che conquista oltre 50.000 ascoltatori.
Adesso è arrivato il momento della conferma definitiva, e Paolo lo sa. Per questo, ha impiegato ben due anni ad assemblare il suo album, “Musica”, e ha scelto nuovamente il palcoscenico del teatro Ariston per incominciare la scalata delle classifiche. La posta in palio è alta, ma l’artista ha tutte le qualità per vincerla.
L’intervista
DOMANDA: Hai iniziato giovanissimo con le sette note. Desideravi fare proprio il musicista di mestiere?RISPOSTA: Sono praticamente cresciuto con la chitarra in mano e, in effetti, è sempre stato il mio sogno quello di diventare musicista a tempo pieno. Per riuscirci, ho studiato tanto, senza tralasciare alcun tentativo per emergere: concorsi, provini, esibizioni. Ho ricevuto tanti “no”, poi ho incontrato qualcuno che ha creduto in me e mi ha spedito al Festival cileno, da cui è decollata la mia carriera.
D. Conoscevi quella manifestazione?R. Non ne avevo mai sentito parlare. Solo una volta arrivato là mi sono reso conto dell’importanza di quel Festival. L’ho vinto e da quel momento è cambiata la mia vita. Sinceramente, non ero neanche pronto ad affrontare quella situazione: a 18 anni mi è caduto addosso il mondo della musica internazionale, in un Paese che non era il mio e quindi lontano dalla famiglia e dagli amici. Per un po’ di tempo, non ho capito esattamente cosa stava accadendo.
D. Hai vissuto male la popolarità?R. La mia lunga esperienza all’estero è stata più che positiva, non vorrei sembrare un ingrato. Mi sarebbe piaciuto, però, condividere quel successo con le persone che amavo, ma che si trovavano in Italia. D’altra parte, se i momenti felici non si vivono con coloro a cui sei affezionato, perdono un po’ di significato.
D. È per questo che ti sei concentrato anche sul mercato italiano?R. Sì, mi ero stufato di portare in Italia video cassette e ritagli di giornale che testimoniavano il mio successo all’estero. Vivevo un po’ male questo contrasto e desideravo farmi conoscere anche nel mio Paese e in Europa. Così mi sono rimboccato le maniche e ho ricominciato da capo, cosa che mi ha fatto anche bene.
D. Perché?R. Dopo l’ubriacatura di popolarità sudamericana, qui sono ritornato con i piedi per terra: le case discografiche mi chiudevano la porta in faccia e venivo eliminato dalle manifestazioni canore come chiunque altro. Mi è servito. Probabilmente non ero ancora pronto per il mio Paese.
D. Ma cosa ti dicevano i discografici nel rifiutare le tue canzoni che all’estero funzionavano?R. Sostenevano che in quel momento la mia musica non andava bene per l’Italia, era troppo americana, quindi mi tagliavano un po’ fuori. Adesso, probabilmente, è cambiato il mercato e forse anch’io riesco a dimostrare meglio le mie qualità. Per certi versi, non avevano tutti i torti: la realtà del Sudamerica era diversa dalla nostra.
D. Come sei cambiato?R. Studiando e ascoltando i consigli degli altri. All’inizio, facevo solo di testa mia, ma sbagliavo. Dopo il primo Sanremo, che andò male, ho capito che dovevo seguire una strada diversa. Mi sono confrontato con i miei amici collaboratori e ho lavorato sulla musica del passato per crescere professionalmente. Ho cercato, insomma, di trovare una mia identità artistica, cosa mai facile, soprattutto quando ci si vuole esprimere con una formula semplice, ma non banale.
“Mi piace la vita pulita”
D. Una formula che riproponi nel nuovo album, a cui hai lavorato per parecchio tempo.R. Ci è voluto un anno e mezzo per assemblarlo, ma ne sono completamente soddisfatto. Rispetto ai dischi passati, ha un’energia maggiore e parecchi elementi di novità dal punto di vista sonoro. Ne scaturisce un ritratto più vero del sottoscritto. Non che prima non lo fossi, ma per alcuni sembravo “costruito” e la cosa mi infastidiva. Adesso viene fuori quella parte di me di musicista più istintiva, giocata su basi pop che si tingono di rock, rhythm and blues, electro.
D. Nei testi, prevale l’amore, osservato da ottiche diverse.R. È un sentimento importante nella vita di chiunque, ma è visto anche in forme più ampie, come l’amicizia tra due persone di religioni diverse. Non bisogna guardare solo alla nostra cultura, ma trovare punti di contatto nel rispetto reciproco.
D. Perché lo hai intitolato Musica?R. La musica è la vita stessa, come “racconto” nel pezzo omonimo. Mi sono un po’ ispirato al film “La tigre e la neve” di Roberto Benigni, dove la poesia è vissuta in modo incondizionato, praticata senza voler niente in cambio, perché è pura passione. Come la musica per me.
D. Hai partecipato a Sanremo. È ancora importante andarci?R. Se c’è un nuovo progetto da presentare, è una bella vetrina. Sei visto da milioni di persone in tv e hai contatti con innumerevoli radio e giornali. Non esiste un altro spazio simile dedicato alla musica in Italia.
D. Sei in cima alle preferenze dei ragazzi. Quale messaggio vuoi dare loro con le tue canzoni?R. Non mi piace fare la parte di colui che dà consigli o insegna come vivere agli altri. Credo si capisca bene quali siano i miei pensieri dai miei brani e dalle interviste. Mi piace la vita pulita, fondata su valori puliti. Poi, penso che ognuno impari a crescere confrontandosi con le proprie esperienze, come del resto faccio io stesso.
CLAUDIO FACCHETTI