Correttori automatici
Beppe Severgnini, giornalista e scrittore che ha il pregio di non essere mai noioso, presta la sua faccia stupefatta alla campagna pubblicitaria di una enciclopedia. Ha avvertito i suoi lettori che il compenso andrà in “beneficienza”. Rapida come un falco, una ragazza l’ha beccato: “Ahi, ahi! Beneficenza si scrive senza i”.
Con l’ironia che lo contraddistingue, lo scrittore ha ringraziato pubblicamente, aggiungendo: “La mia maestra sarebbe stata meno tenera”. Poi, dopo aver risposto al quesito sui plurali delle parole in “cia” e “gia” (se prima della c e della g c’è una vocale, come ciliegia, la i rimane; se c’è una consonante, come pioggia, la i cade), Severgnini osserva che l’ortografia è una qualità che non si compra, ma s’impara. Ecco perché è preziosa. “Tre errori in una e-mail valgono un dito nel naso a tavola”.
Conclusione: succede di scivolare scrivendo. Basta rialzarsi e provare a non cascarci più. E i correttori automatici che sottolineano di rosso le parole sbagliate sul computer? È come saper nuotare solo con il salvagente.
Maschi pagati più delle ragazze
Uno studio dell’Università del Michigan, negli Stati Uniti, mette sotto accusa le “paghette” con cui i genitori retribuiscono i figli per i lavori svolti in casa. La ricerca ha esaminato tremila ragazzi tra i 10 e i 18 anni. Con questo risultato: i maschi intascano mediamente il 10-15% in più delle sorelle, anche se lavorano il 30% in meno. Fra i compiti riservati quasi esclusivamente alle ragazze: apparecchiare e sparecchiare, lavare i piatti, aiutare mentre si cucina, rifare i letti. Ai maschi è richiesto di svolgere lavoretti tradizionalmente riservati agli uomini, come per esempio lavare l’auto, portare fuori la spazzatura, tagliare l’erba del giardino.
La discriminazione sessuale, dunque, comincia con l’adolescenza. Penso che i maschi siano pagati di più perché fanno lavori che gli adulti giudicano “remunerabili”. Mentre invece i compiti riservati alle ragazze sono considerati di routine, quasi dovuti. Il guaio è che crescendo le cose non cambiano, semmai peggiorano. Va’ così anche in Italia: forse non ci avete mai pensato, ma le mamme lavorano almeno quanto i padri. Anzi, spesso di più e non sempre il loro è un lavoro gratificante.
Bocciati con riserva
Leggo che le prove Invalsi hanno bocciato gli alunni italiani. Molti ragazzi (63%) della scuola media non conoscono il vero significato di “cioè”, la parola che usano di più; azzardano che il Polo Nord sia più lontano dal sole; vanno completamente nel pallone quando si tratta di calcolare il perimetro di un triangolo. Invalsi è l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione delle scuole italiane. I test - che per tre giorni impegnano un milione di studenti - consistono in una serie di domande a risposta chiusa: bisogna scegliere tra 3, 4 o 5 alternative.
Quiz facili soltanto in apparenza. Tanto che gli scivoloni sono stati più di quanto fosse prevedibile. Eccone alcuni: il 23% dei ragazzi crede che dalla plastica si possano ottenere anche scatole di cartone, magliette di cotone e cucchiai di legno; il 50% non conosce il significato dell’espressione “nella notte dei tempi” e non sa che il peso sulla Luna è inferiore a quello sulla Terra; “tener d’occhio” è un mistero per il 30%.
Soprattutto la matematica è la bestia nera: il 41% non ha idea di quale sia l’unità di misura più adatta per stabilire lo spessore di un foglio di carta: in millimetri o in metri? E il 32% non sa calcolare una somma con i numeri decimali: quelli con la virgola.
Zucconi senza rimedio? No. E qui viene quella che mi sembra la sorpresa più strepitosa: alcuni addetti ai lavori, tra i quali anche il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, hanno sollevato dubbi sulla validità dei test. Come dire: bocciati, ma con riserva.
CARLO CONTI RISPONDE
Tolstoj dimezzato
Caro signor Conti, che cosa sta accadendo nell’editoria? Lo domando a lei che forse non sarà un esperto in materia, ma è una persona di buon senso. Sono la madre di due suoi lettori e la seguo anch’io su Mondo Erre. Ora mi piacerebbe sapere la sua opinione sui tagli che le case editrici vogliono fare ai grandi romanzi classici. Guerra e pace, il capolavoro di Tolstoj, è già stato ridotto di 600 pagine perché “così è più leggibile”. Ma siamo diventati matti?
Un’altra notizia che trovo inquietante è la seguente: una rete di biblioteche americane ha tolto dagli scaffali i classici per far posto ad autori contemporanei di successo. È stata messa a punto una specie di “auditel” delle scelte degli abbonati: se un libro non è preso in prestito, sparisce dalla biblioteca. Così Per chi suona la campana di Hemingway ha ceduto il posto a Il socio di Grisham. Ma le pare sensato? Tanti auguri e grazie.
Anna Maria B. (Firenze)
Gentile Signora, Guerra e pace è senza dubbio un capolavoro ma - diciamo la verità - una sforbiciatina potrebbe anche essere opportuna, magari là dove l’autore fa parlare i suoi personaggi in francese, la lingua dell’aristocrazia russa del tempo. Pare che lo stesso Tolstoj avesse previsto una versione accorciata. Però 600 pagine sembrano tante anche a me, significano quasi la metà del libro.
Più preoccupante mi sembra la logica della domanda e dell’offerta seguita dalle biblioteche americane. I libri non sono noccioline. Con la stessa logica economica bisognerebbe chiudere le chiese e i musei che non fanno il pienone, magari a favore di centri commerciali e pizzerie. Grazie per gli auguri che ricambio cordialmente.