Figli della Rete
In Italia, i ragazzi tra i 14 e i 18 anni sono circa 2 milioni e 900 mila, un numero ogni anno più esiguo. Come sempre, i “nuovi preadolescenti” sono oggetto di frequenti inchieste giornalistiche. L’ultima, pubblicata a puntate su un grande quotidiano, li definisce “figli della Rete”. E cioè una generazione digitale: sms, blog e pochi libri.
Poi, estrapolando dalle risposte ai vari quesiti, saltano fuori altre caratteristiche: forti consumatori, individualisti, con un culto quasi ossessivo del corpo. E ancora: vivono in perenne connessione tra di loro (attraverso pc e telefonini), scelgono da soli abbigliamento e tecnologia, il divertimento principale è uscire con gli amici, i loro miti durano una sola stagione (oggi vincono Scamarcio e Moccia, ma il prossimo anno saranno già dimenticati), non sono mai andati così tanto a scuola, ma hanno anche un linguaggio che non è mai stato così volgare e approssimativo.
È tutto esatto? Ci andrei cauto, per due motivi: 1) le inchieste rappresentano la media dei risultati e se si dice che mangiamo mezzo pollo a testa, c’è sempre chi ne mangia uno intero e un altro che digiuna; 2) l’identikit dei ragazzi sfugge ad ogni etichetta: la preadolescenza è un’età in bilico, sospesa tra infanzia e futuro, con il corpo che cambia e i sentimenti in tempesta, un’età incerta, “vulnerabile e meravigliosa”.
“Orrori” di ortografia
Ogni tanto accade di vedere, ahimé anche nei quiz televisivi, “qual’è” con l’apostrofo, o “avvallo “ con due “v”. Nell’era telematica, l’importanza della ortografia sembra sbiadire. È un male “globalizzato”. Leggo che in Francia 370 studenti provenienti da 48 scuole di ingegneria hanno dovuto affrontare un test insolito per essere ammessi alla prestigiosa Scuola centrale di elettronica: un dettato. Come si faceva una volta nelle elementari. I risultati sono stati a dir poco disastrosi.
In Francia gli errori di ortografia sono una piaga insanabile. Nelle scuole e nelle aziende. Compiti e lettere pieni di strafalcioni, documenti costellati di errori. Loro almeno hanno una piccola scusante: tanti accenti gravi e circonflessi, che risultano indigesti perfino ai manager.
Le ali ai piedi
Anziché mettere l’uomo sulle ruote, perché non mettere le ruote sull’uomo? Per la precisione sulle sue scarpe. È l’idea che ha fatto triplicare il fatturato dell’azienda texana Heelys. In fondo, un’invenzione facile: bastava incorporare delle rotelline di metallo nella suola per mettere le ali ai piedi.
Finora sono state vendute più di 4 milioni di paia in tutto il mondo. Il mercato principale è rappresentato dai ragazzi (e ragazze) tra i 7 e i 14 anni. E da qualche incorreggibile adulto con il complesso di Peter Pan. Qualcuno dirà: anche i pattini a rotelle sono scarpe con le ruote. La differenza è che con queste scarpette si può camminare normalmente o pattinare, scivolando veloci. Troppo veloci, a volte. Negli Usa, alcune scuole le hanno vietate perché gli studenti sfrecciavano nei corridoi a 50 chilometri l’ora.
CARLO CONTI RISPONDE
A me fa male a mio fratello no
Io e mio fratello Marco, che ha due anni più di me, andiamo spesso in bicicletta. Perché se cado io mi faccio un male boia e se cade lui si rialza senza un lamento? Tu dirai che i miei ruzzoloni sono più rovinosi e invece no: le stesse sbucciature, gli stessi ematomi per entrambi.
Siamo andati dal dentista per una visita di controllo: io ho sentito dolore prima ancora di aprire la bocca e mio fratello era tranquillo come una Pasqua. Guarda che non sono mica un fifone! Come te lo spieghi? Ciao.
Andrea (Pistoia)
Caro Andrea, sono certo che sei un ragazzo coraggioso. Il fatto è che esistono livelli diversi di sensibilità al dolore. Ne è responsabile un gene che produce una proteina importante per il nostro cervello. Il gene si chiama Comt ed esiste in due formati diversi: uno resistente al dolore e l’altro no. Sopportare una fitta o un bruciore non è soltanto questione di coraggio o di sensibilità. Ma dipende dal tipo di gene di cui siamo dotati. Tu cerca di non cadere. Ciao.