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PARLEREMO TUTTI CINESE

Il cinese e' gia' la lingua piu' diffusa del mondo e secondo le previsioni lo diventera' sempre di piu'. Avanzano l'hindi e l'arabo. L'inglese soltanto al quarto posto. Nella Babele linguistica d'Europa. Un giorno parleremo tutti la stessa lingua? La domanda ha stimolato gli scienziati riuniti a Seattle per discutere sul futuro della comunicazione. Ma la risposta e' apparsa piuttosto confusa. Un dato e' certo: almeno la meta' delle lingue attualmente parlate nel mondo scomparira' entro il 2050. E se mai si arrivera' ad un linguaggio unico, non sara' l'inglese ma il cinese, gia' oggi il piu' diffuso. In particolare fra i giovani, avanzeranno l'hindi e l'arabo. Si e' calcolato che ogni 15 giorni nel mondo muore una lingua. E con essa scompare una cultura, l'espressione di una civilta'. L'ultimo esempio e' quello del "chulym", appena scoperto dall'americano David Harrison, e gia' moribondo: lo parlano 35 persone, tutte sopra i 50 anni, discendenti dei tartari che abitano nella Siberia meridionale. I piu' giovani della comunita', poche centinaia in tutto, da molto tempo hanno preferito un dialetto russo. Sono circa 6.800 le lingue ancora esistenti: 120 sono parlate da almeno un milione di persone, mentre il 60% appartiene a meno di 10 mila. Alcune sono davvero patrimonio di pochi intimi, come il "Pite saami", usato da una cinquantina di persone che vivono in una zona della Lapponia svedese. Il record spetta alla Nuova Guinea, dove si parlano ben 1100 linguaggi diversi. Perche' muore una lingua? Spiegano gli antropologi (gli scienziati che si occupano dell'evoluzione dell'uomo) che appena una popolazione cresce, tende a dividersi e le lingue cominciano a differenziarsi. In principio sono ostacoli geografici (monti, mari, ecc.) a impedire gli scambi. Cosi' nascono parole nuove, o modi diversi di pronunciarle e a poco a poco gli idiomi mutano. Che cosa rende esportabile una lingua? La componente demografica, cioe' il numero dei parlanti, e' solo uno dei motivi. Ve ne sono altri, come la potenza economica, culturale e politica. I Paesi piu' forti, insieme con le merci e la tecnologia, finiscono per esportare anche il loro vocabolario. Vincenzo Cerami, lo sceneggiatore di La vita e' bella, il film che ha regalato l'Oscar a Roberto Benigni, sostiene che una lingua si puo' definire tale quando viene scritta negli atti pubblici. Un dialetto puo' comparire in una lettera, mai in un certificato statale, in un decreto, su una carta bollata. E, tuttavia, molte lingue, con il tempo, possono trasformarsi in dialetti. Com'e' accaduto al friulano, che era una vera e propria lingua romanza. Questo accade quando una lingua egemone (dipendente da una cultura dominante) cancella quella piu' debole: in qualche modo si verifica una sorta di colonizzazione, una conquista. Secondo Cerami, anche l'italiano, sempre piu' "imbarbarito e contaminato dall'inglese" rischia di trasformarsi in dialetto. Lo scrittore (come riferiamo nel box) sembra sin troppo pessimista. Non e' facile, del resto, immaginare che cosa avverra' in questa nostra Europa, "melograno di lingue". A Est, per esempio, ci sono una lingua della famiglia mongola, il calmucco, e una mezza dozzina di parlate di origine turca: il ciuvasco (nel medio Volga), lo jakuto (Siberia orientale), l'uzbeco (Asia centrale), il turkmeno, il kirghiso, il kasako. Scompariranno tutte? E davvero ci stiamo avvicinando ad un linguaggio universale? La crescita orientale Raffaella Zanuttini, una torinese che insegna linguistica alla Georgetown University di Washington, risponde: "Il linguaggio universale sara' possibile soltanto come scelta imposta perche' fara' comodo, per esempio, parlare inglese nella comunita' scientifica (il 90% delle pubblicazioni scientifiche usano la lingua di Shakespeare) o nel mondo degli affari. Ma le differenze linguistiche non saranno mai annullate, anzi. Nelle lingue parlate emergono sempre nuove differenze, cosi' come gia' oggi l'inglese parlato sui monti Appalachi e' diverso da quello di Londra e quello parlato a Hong Kong e' diverso da quello usato in Africa orientale". La grammatica e' piu' flessibile, quasi modellata nel Paese d'importazione: perche' se l'inglese e' in calo come lingua madre, continua a svolgere un ruolo importante come ponte. E presto le persone che parlano inglese come seconda lingua saranno molte di piu' di quelle di lingua madre. Ma non sara' l'inglese a prendere il sopravvento e a cancellare l'attuale Babele linguistica. A questa conclusione e' giunto lo studioso britannico David Graddol, anche dopo aver analizzato il tasso di natalita' dei cinque continenti, insieme con il geologo americano Scott Montgomery. La lingua piu' diffusa nel 2050 sara' il cinese mandarino. Il primato, del resto, c'e' gia' oggi ed e' dovuto agli 1,3 miliardi di cinesi, destinati ad aumentare ogni anno a un tasso del 6,7 per mille. La vera sorpresa e' un'altra: l'inglese perdera' l'attuale secondo posto (considerando le persone di madrelingua), scivolando al quarto, dopo hindi-urdu e arabo. Seguiranno a distanza ravvicinata, spagnolo e portoghese. Poi bengalese, russo e giapponese. Il tedesco, oggi decimo, uscira' dalla classifica, sostituito dal malese. I giovani tra i 15 e i 24 anni che parleranno cinese fuori dalla Cina saranno 166 milioni, seguiti da 73,7 milioni con padronanza di hindi (contato insieme con il suo stretto parente urdu), 72,2 di arabo e 65 di inglese. In un secolo (1950-2050) la percentuale di popolazione mondiale che parla inglese passera' dal 9 al 5%, lasciando il primato al cinese. e' un sorpasso che ci coglie impreparati? Mario Sabattini, che insegna lingua e letteratura cinese all'Universita' di Venezia, ci ricorda che la prima scuola europea di cinese nacque proprio in Italia nel Settecento. Era il nucleo originale dell'attuale Istituto universitario orientale di Napoli. Oggi Italia e Francia hanno il maggior numero di iscritti ai corsi di cinese. Ci superano gli Stati Uniti, ma solo perche' ospitano una enorme comunita' asiatica. Fino agli anni Sessanta si studiava il cinese per motivi letterari. Oggi i nostri studenti si stanno aprendo alla lingua parlata: il lavoro e' assicurato e anche ben retribuito. Le difficolta' non devono spaventare, sostiene il professore. E spiega: "Grazie ai computer che utilizzano i caratteri cinesi, la scrittura e' diventata molto piu' semplice; ed esistono software per l'insegnamento assai efficaci". Forse la carta vincente sara' il trilinguismo: italiano come madrelingua, inglese come strumento base di comunicazione internazionale e una terza lingua ponte (cinese, hindi o arabo) verso mondi che oggi sembrano ancora lontani, ma si stanno aprendo in fretta e offrono molte opportunita'. Coraggio ragazzi, il mondo e' vostro. LIDIA GIANASSO
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