È allarme rosso. Anzi, rossissimo. Nell’ultimo anno, in Italia, sono scomparse oltre 20 miliardi di api su 55, quasi la metà dell’intera popolazione. Un’ecatombe. A farle fuori pare siano gli insetticidi neonicotinoidi a base di molecole neurotossiche (vietati in Francia), usati in particolare nelle coltivazioni di mais e di girasole.
Le polveri dell’insetticida, durante la semina, si posano anche sull’erba, sulle foglie degli alberi, sui fiori vicini ai campi. E così la rugiada, l’"acqua minerale" che bevono le api nella stagione secca, quando "sgorga" è avvelenata. Non è una dose letale, ma basta per intontire gli insetti e far perdere loro il senso del tempo, dello spazio e dell’orientamento. Smarriscono la strada per l’alveare e muoiono.
Viene così a mancare uno degli anelli fondamentali nella catena della vita. Sono le api, difatti, che hanno il compito di impollinare le piante. Con il loro laborioso volo trasformano l’80% dei fiori in frutti, mentre al rimanente 20% ci pensa il vento. Senza di esse, insomma, non crescerebbe più nulla e all’uomo, come ha detto Einstein, non resterebbero che quattro anni di vita.
Al danno economico legato all’industria del miele (in Italia la perdita è stata di 250 milioni di euro), si aggiunge quindi il pericolo reale di destabilizzare l’equilibrio della Terra. I ricercatori stanno studiando dei rimedi ma, per ora, le autorità sanitarie e politiche non hanno ancora preso provvedimenti seri. E la povera ape intanto non prende più il volo.
Arriva dall’Africa
Pensare che, in passato, l’ape non era un insetto sociale. I suoi progenitori vivevano in modo solitario ed erano dei predatori come alcuni tipi di vespe di oggi. Con il tempo, però, ha cambiato le abitudini: ha formato famiglie numerose, suddiviso scrupolosamente i ruoli tra i diversi componenti e imparato a mettere da parte le riserve di cibo, riempiendo l’alveare di miele per sfamarsi d’inverno.
Lo ha rivelato di recente una ricerca internazionale, che ha impegnato per quattro anni oltre 170 scienziati di tutto il mondo. Tra l’altro, hanno scoperto che l’ape raggiunge in volo i ventidue chilometri all’ora, batte le ali tra le 75 e le 150 volte al secondo e possiede poco più di 10 mila geni, contro i 25 mila dell’uomo.
Quanto alle origini, si è capito che il suo antenato è vissuto in Africa: da qui, si è diffuso in Europa, in due ondate successive, poi nel resto del mondo. L’ape più antica mai ritrovata ha cento milioni di anni: intrappolata nell’ambra, è stata scoperta in Myanmar, ex Birmania.
Lo studio ha dimostrato che l’ape domestica, scegliendo la vita in società, ha rafforzato l’olfatto, diventato molto sofisticato: annusa non solo l’aria per individuare i fiori e per tornare all’alveare, ma anche le compagne per assicurarsi che facciano parte della sua stessa comunità. Diversamente, non esita ad allontanare gli esemplari "stranieri".
Nel corso dei millenni, poi, le api operaie si sono sempre più perfezionate nella preparazione della pappa reale, prodotta da una particolare ghiandola del loro corpo. Unico alimento delle api regine e di tutte le larve per i primi tre giorni di vita, contiene alte percentuali di zuccheri, proteine, grassi e vitamine ed è indispensabile alla regina per sostenere l’immensa fatica della deposizione delle uova: una ogni sei secondi, circa tremila al giorno.
Caste sociali nell’alveare
In gruppo, l’ape ha imparato a dividere rigorosamente i compiti. Nell’alveare, composto da un’unica ape regina, due solo in casi eccezionali, ci sono tra 10 mila e 150 mila api lavoratrici, da 500 a 1.500 maschi (i fuchi) che, a differenza delle femmine, sono privi di pungiglione.
L’ape regina sopravvive tra i tre e i cinque anni ed è la sola a deporre le uova,
mentre le operaie, con una vita da uno a sei mesi, si occupano delle mansioni interne della "casa", che variano a seconda dell’età. Mentre le giovanissime si dedicano alla pulizia scrupolosa, tanto che nell’alveare tutto è sempre lucido ed in perfetto ordine, quelle che hanno compiuto tre giorni danno da mangiare miele e polline ai cuccioli di famiglia, le larve; dai tre ai sei giorni producono la pappa reale.
Solo più tardi, dal quindicesimo giorno, si preparano per diventare "bottinatrici", destinate a raccogliere il nettare dalle piante: i primi tempi, però, fanno solo prudenti voli di orientamento nelle vicinanze dell’alveare. In questo modo, si occupano anche della sorveglianza: piazzandosi nei pressi dell’entrata, cacciano in malo modo tutti gli intrusi.
Al ventesimo giorno diventano definitivamente bottinatrici, dedicandosi alla raccolta del nettare e del polline, entro una distanza di circa quattro o cinque chilometri dall’alveare: al ritorno, segnalano alle compagne la posizione del cibo con una particolare danza, che varia a seconda della lontananza e della qualità di quanto scovato. Durante il viaggio, la bottinatrice, all’interno della borsa "melaria", una specie di pre-stomaco, inizia la trasformazione delle sostanze recuperate in miele, che nell’alveare viene poi immagazzinato in appositi spazi.
Casa dolce casa
Infaticabili lavoratrici, le api operaie non si risparmiano nemmeno nella costruzione dell’alveare: grazie a speciali ghiandole, producono la cera che usano per la costruzione delle celle, piccoli "buchi" di forma perfettamente esagonale, in cui allevano le larve e conservano miele e polline. Gli scrupolosi insetti non potrebbero poi concludere il lavoro in modo migliore: infatti, le celle che custodiscono le larve di qualche giorno e quelle dove c’è il miele vengono chiuse ermeticamente con un sottile tappo di cera, l’opercolo.
Pignole, preparano nell’alveare celle di dimensioni diverse, a seconda dell’uso a cui sono destinate: grandi per allevare i maschi, piccole per le operaie e naturalmente "reali" per le regine, le più spaziose.
All’interno dell’alveare vi è anche un eccezionale sistema di "climatizzazione", specialmente nella zona delle larve: qui la temperatura è mantenuta costantemente intorno ai 35 gradi. Quando fa freddo, le api producono calore con dei rapidi movimenti dei muscoli del torace; se aumenta il caldo raffreddano invece l’ambiente con rapidi movimenti delle ali. Senza questo sistema di regolazione, gli "inquilini" sarebbero destinati a morire.
Nonostante i suoi meriti, l’ape è spesso temuta per il suo pungiglione, che però usa con parsimonia. Infatti, punge solo quando avverte il pericolo per sé o per il suo gruppo. Per carattere, non è aggressiva, ma si arrabbia se ci si avvicina troppo all’alveare o si tenta di aprirlo senza cautela: in questo caso può attaccare. E non esita ad affrontare anche gli animali che tentano di intrufolarsi dentro, comprese le api appartenenti ad altre colonie. Al contrario, lontana da "casa", se viene disturbata di solito preferisce fuggire.
Nulla al confronto di ciò che l’attende: la battaglia contro un nemico invisibile, l’insetticida che le sta decimando. Speriamo che l’uomo l’aiuti a vincerla. Per lui e per le api.
©Mondo Erre - Gianna Boetti