Finalmente il loro numero sembra in salita. Lo scorso anno,
28 cuccioli di panda gigante sono nati nei centri di allevamento in Cina, dove è arrivato a
341 il numero di questi animali in cattività. Sette esemplari solo nella riserva di Wolong, nella provincia cinese del Sichuan. Qui, hanno visto la luce persino due gemellini, fatto rarissimo tra questi animali. È andata ancora meglio del 2010, quando si sono registrati
19lieti eventi, e del 2006, salutato con 18 cuccioli. Dati che fanno ben sperare.
Due decenni fa, si contavano non più di 100 di questi speciali orsi bianchi e neri nati in cattività. La prima nascita risale al 1963, presso lo zoo di Pechino; da quel momento, per cercare di salvare la specie, sono aumentati i casi di panda nati in strutture apposite anziché in natura.
Cosí, i panda cresciuti in cattività nella Repubblica cinese sono diventati almeno 350 dagli anni Ottanta a oggi. A cui si aggiungono i 1.600, forse 2.000, divisi in poco piú di 30 gruppi, che abitano in libertà. Contro i 700 della fine degli anni Novanta.
Ritorno alla natura
Forse è arrivato il momento di tirare il fiato per la loro sopravvivenza. Con l’augurio di poterli far tornare tra le foreste, a “mantenersi” da soli. Ci provano gli addetti del “Centro per il ripopolamento dei panda giganti” di Chengdu, il più grande istituto al mondo di recerca e conservazione della specie, che i cinesi chiamano Xiong Mao, ossia “grande orso gatto”.
Qui, dopo 25 anni dall’apertura, quando erano appena sei, questi animali sembrano aver raggiunto il numero necessario per poter proseguire il cammino in autonomia. Dal 1987 sono nati a Chengdu e liberati 161 panda: 119 sono sopravvissuti e si sono adattati alla vita allo stato brado. Tra l’altro, nel solo 2012, sono nati 5 cuccioli ed ora cinque baby panda si stanno preparando al grande passo.
Questa riserva ha infatti il primato della presenza del più grande gruppo di panda allevati dall’uomo del mondo: i ricercatori hanno
affinato le tecniche di nutrizione e allevamento
dei neonati, particolarmente delicati, ed hanno creato una vasta area protetta, identica al loro ambiente naturale, ma sorvegliata a distanza dove, in modo progressivo, i panda possono tornare ad una vita quasi selvatica.
Ritornare tra i boschi non è comunque impresa facile. I panda gigante, originari della Cina centrale, da 5 generazioni ormai crescono negli zoo, non sono più in grado di sopravvivere da soli e faticano ad adattarsi nel loro ambiente. Per questo, nel 2008, nel centro di Chengdu, si era pensato di far vivere per qualche tempo i panda allevati in cattività con un cane poliziotto, perché imparassero a difendersi prima di essere liberati.
Infatti, studiando gli esemplari rilasciati, si era capito che la maggior parte rimaneva uccisa in seguito a combattimenti con altri animali: i ricercatori del centro erano convinti che, con l’osservazione dei cani poliziotto, i bestioni indifesi avrebbero imparato a difendersi dagli attacchi, aumentando le loro possibilitá di sopravvivere tra le montagne.
Rischi e paure
Tra gli ultimi ad essere rimessi in libertà, nell’ottobre 2012, Tao Tao, maschio di due anni cresciuto nella riserva di Wolong con la madre Cao Cao. Una volta “fuori”, l’animale si è subito mostrato esitante e impaurito, ma ad aiutarlo ad addentrarsi nella natura sono stati gli specialisti della riserva che, travestiti da panda, lo hanno spinto fuori dalla gabbia. Comunque, prima di decidere di riportarlo in natura, gli esperti lo hanno preparato a sopravvivere, insegnandogli ad arrampicarsi sugli alberi e a procurarsi il cibo.
Dopo l’esperienza di Tao Tao, uno degli ultimi quattro panda allevati nella riserva di Wolong, i ricercatori sperano di poterne “liberare” altri due al più presto, non appena pronti ad
affrontare le sfide del loro territorio originario.
Nonostante il 50% dell’ambiente naturale necessario per la sopravvivenza del panda sia scomparso negli ultimi 15 anni, gli addetti dei vari centri di allevamento vorrebbero farli ricominciare a vivere tra i bambú e le alte quote, dove si trovano le condizioni ottimali per la loro esistenza. Anche se hanno un po’ di preoccupazioni, per gli ostacoli che troverebbero davanti a sé: infatti, non avendo mai vissuto “soli”, non saprebbero, almeno inizialmente, come cavarsela.
Non a caso Xiang Ziang, che significa “fortunato”, il primo panda maschio di cinque anni riportato tra le montagne nel 2006, morì dopo poche settimane, forse attaccato da altri panda selvatici. Eppure non vogliono rinunciare ai programmi di reinserimento e, a breve, altri panda dovrebbero ritornare a popolare la natura. Ovviamente, sotto controllo continuo e in speciali riserve.
Non abbassare la guardia
Non abbassare la guardia
Se le premesse sono buone, di certo non bisogna dormire sugli allori. In Cina, dove il panda è l’animale simbolo, si era deciso, già qualche anno fa, di costruire un centro di ricerca nella valle di Wolong, per avere il più gran numero di dati di questa specie e, quindi, sapere cosa fare per aiutarla a sopravvivere.
Le conoscenze accumulate sono così servite a realizzare progetti e ad allestire vaste zone in cui collocare gli esemplari rimasti: ad esempio, la creazione di corridoi di foresta per collegare le varie riserve, in modo che possano liberamente circolare su ampi spazi. In modo particolare, gli studiosi hanno pensato a ripiantare numerose specie di bambù, in modo che la loro fioritura avvenga in tempi diversi e il panda possa avere cibo tutto l’anno.
La distruzione dei boschi di bambù, suo alimento prediletto nonostante le origini carnivore, è stata tra le cause principali della loro decimazione, oltre alla riduzione di enormi aree di foreste incontaminate. I risultati non sono mancati: in dieci anni, è triplicata la percentuale di sopravvivenza dei cuccioli nati in cattività, passata dal 30% del 1992 al 90% dei primi anni Duemila.
Arrestato il crollo delle nascite, la sfida della Cina è ora riuscire a far tornare a casa sempre più panda nati in gabbia. Cosí, gli scienziati della riserva di Chengdu hanno studiato uno speciale percorso in quattro fasi.
La prima è quella del parto e dello svezzamento dei cuccioli nella zona “nursery”, dove vengono spesso allattati con i biberon usati per i bambini. La seconda prevede il trasferimento dei giovani in un’area mista: recinti poco più vasti di quelli degli zoo, dove si nutrono in parte da soli e in parte con i bambù forniti dal centro.
La terza fase porta gli adulti, muniti di un chip posto sotto la pelle per tenerli sempre sotto osservazione, in boschi dove devono iniziare a vivere grazie all’istinto, senza più intervento umano. Solo periodicamente i ricercatori si accertano della loro salute. La quarta fase, la più difficile, restituisce gli esemplari definitivamente alla natura, fino a perdere le loro tracce. Ma sono davvero pochi i reinserimenti “finali” conclusi con successo.
Solo e sempre bambú
Schivo e solitario, il panda vive solo in alcune zone della Cina, nelle inaccessibili foreste di bambù. Ed è proprio questo il suo cibo prediletto: mangia almeno 38 chili al giorno dei germogli di questa pianta. Si tratta infatti di un alimento poco nutriente e quindi ne ha bisogno di grandi quantità, a intervalli regolari, senza per questo consumare troppe energie.
Oltretutto, queste piante muoiono dopo la fioritura e per trovare sempre altri germogli, percorre discrete distanze. L’unico vantaggio è che, vivendo prevalentemente isolato, non deve dividere i pasti con altri animali e quindi riesce a contare su grosse quantità di riserve. Così, anche se non ha bisogno di ampie superfici, proprio perché abituato alla solitudine, necessita comunque di un territorio che va da 1 a 6 chilometri quadrati.
Per facilitare i suoi spostamenti, i ricercatori alle volte collegano le sponde dei torrenti con dei tronchi. All’occorrenza, quando non c’è proprio altro da mettere sotto i denti, si nutre anche di bruchi e alcune altre specie di piante. Ma preferisce di gran lunga rosicchiare il bambù per ore e ore.
© Gianna Boetti - Mondo Erre