Più o meno
tremila, sparse nelle foreste del mondo. Secondo gli ultimi dati, sarebbe all’incirca questo il numero delle tigri presenti in natura. Un crollo impressionante, a partire da un centinaio di anni fa, quando gli esemplari erano 100 mila, diffusi dalla Turchia all’Oceano Pacifico, dalla Cina meridionale al sud dell’India e in tutto il Sud-Est asiatico fino alle isole indonesiane di Sumatra, Giava e Bali.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata: le tigri sono scomparse dal 93% dei territori nei quali vivevano un secolo fa e rimangono solamente 42 popolazioni sparpagliate soprattutto nella parte centrale del continente asiatico. Già sparite dal territorio delle due Coree, sono a un passo dall’estinzione in Cina, dove ci sono solo più una trentina di tigri della Manciuria. E, quando non sono del tutto annientate, sono concentrate in piccole popolazioni.
Il pericolo è l’uomo
Pur essendo un animale che si adatta a qualsiasi ambiente, dalle giungle alle praterie, dalle colline alle selve di mangrovie, il più grande felino del mondo è in seria difficoltà.
Una delle principali cause della sua drastica decimazione è legata agli
interventi dell’uomo sulla natura: disboscamenti, scavi minerari, perforazioni petrolifere hanno limitato alle tigri lo spazio in cui muoversi, trovare cibo e far nascere i cuccioli. Inoltre, risaie, campi coltivati, centri abitati, strade e ferrovie hanno limitato il territorio di caccia di questi predatori che prediligono invece
gli ampi spazi.
In India, ad esempio, per la rapida crescita del Paese, passato da 160 a circa 355 abitanti per chilometro quadrato, molti terreni frequentati dalle tigri oggi sono diventati zone agricole e ora sopravvivono solo dentro le riserve.
A sopprimere gli spazi della tigre hanno contribuito anche gli Stati europei, che richiedono ogni anno quasi 6 milioni di tonnellate di olio di palma: una cifra che porta via grandi distese di verde.
In Bangladesh, invece, secondo gli studiosi, è a rischio la foresta di mangrovie del Sunderbans, dove vivono i felini. La causa sarebbe il cambiamento climatico, che potrebbe provocare la scomparsa del 96% dell’area. Non va meglio in Russia e nella regione del Mekong: la minaccia è legata all’abbattimento degli alberi per il mercato illegale del legname.
Cacciate per i loro “poteri”
Altra grave minaccia,
la caccia illegale. Anzi, si stima proprio che circa il 95% della popolazione mondiale di tigri, nel secolo scorso, sia finita sotto i colpi dei fucili. Negli anni, migliaia di capi sono stati massacrati per le pelli o per diventare trofei, ma soprattutto perché richiesti dalla medicina orientale, che usa organi, ossa e ogni altra loro parte per le cure più diverse. Un grande giro d’affari: un bracconiere ricava oltre
40 mila dollari dal loro abbattimento.
Anche se il commercio internazionale delle tigri è vietato in tutto l’Oriente, continuano le uccisioni illegali, perché la domanda di questi prodotti rimane molto alta, soprattutto in Cina, dove dal 1993, è proibito il traffico dei loro organi; la Corea, in meno di vent’anni, ha importato dall’Indonesia circa quattro tonnellate di polvere d’ossa essiccate, corrispondenti a oltre quattrocento esemplari, contribuendo a determinare l’ormai prossima estinzione della tigre di Sumatra, che, attualmente, conta circa cinquecento esemplari in libertà.
Anzi, negli ultimi sette anni, la caccia è ancora aumentata, per le richieste crescenti dei miscugli a base di tigre. Nella medicina tradizionale cinese, infatti, molti preparati sono venduti come
rimedi per il dolore e per tanti altri tipi di problemi. Le ossa macinate, ad esempio, sono considerate una buona terapia per il mal di stomaco, la malaria, le febbri violente e le ustioni. La
coda, sminuzzata e mischiata a sapone, diventa una crema per le malattie della pelle; dal cervello si fa un composto per curare l’acne; i baffi sono utilizzati per il mal di denti.
Da qualche anno, sempre in Cina, è anche di gran moda il vino di ossa di tigre: nelle bottiglie in cui viene venduto, circa 130 dollari l’una, si trovano pezzi di ossa del felino, lasciati macerare per anni in un liquore a base di riso che si trasformerebbe, secondo quanto sostiene una parte della medicina tradizionale del Paese, in un potente rimedio contro i reumatismi.
Sparite per sempre
Secondo gli studiosi, il commercio illegale di pelle e ossa uccide
2 tigri ogni settimana. Mentre, dal 1940, si sono estinte tre varietà di tigre; una quarta, la tigre della Cina meridionale, non viene più avvistata in natura da circa 25 anni. Alcune sottospecie sono sparite verso la fine degli anni Ottanta, quelle di Giava e del Mar Caspio negli anni Settanta, mentre la tigre di Bali è scomparsa negli anni Quaranta. Attualmente rimangono sei sottospecie: la
tigre del Bengala, dell’Indocina, della Malesia, di Sumatra, la tigre cinese meridionale e quella dell’Amur, siberiana.
Comunque, da qualche anno, è scattato l’allarme per la tigre del Bengala, uno dei più eleganti esemplari della specie, presente soprattutto nel subcontinente indiano. Difficile, se non impossibile, il rimedio per salvarla: in India, bisognerebbe spostare oltre 100 mila persone che vivono raggruppate in villaggi nelle riserve, una volta dominio esclusivo del felino.
E se il 2010 è stato l’Anno della Tigre, ufficialmente dichiarata uno degli animali più in pericolo di sopravvivenza, in vista del 2022, nuovo Anno della Tigre, il WWF ha lanciato una grande sfida: raddoppiare il loro numero entro quell’anno, chiedendo ai governi che ospitano ancora quest’animale di fermare il bracconaggio e la distruzione degli ultimi, sottili, pezzi di terra su cui vivono. Siccome la specie si è ridotta del 97% rispetto al secolo scorso, la speranza è raggiungere la quota di almeno 7 mila esemplari. Tanto per tirare il fiato.
© Gianna Boetti - Mondo Erre