La gru cenerina non
c’è più. Finiti i bei tempi dei suoi nidi in Italia. Alta un po’ più di un
metro e dalle caratteristiche piume grigie, risulta tra le sei specie estinte nelle epoche più recenti, insieme alla
quaglia tridattila, piccolo uccello simile alla quaglia comune, il gobbo
rugginoso, anatra dal becco turchese, il rinolofo di Blasius, pipistrello dalla
soffice pelliccia, lo storione e lo storione ladano, il più grande di tutti gli
storioni.
Tutti questi
animali, che una volta abitavano la nostra penisola, sono finiti nella
“lista
rossa” pubblicata di recente dal Comitato Italiano dell’Unione Internazionale
per la Conservazione della natura. Non solo. Nell’elenco ci sono infatti
161 specie considerate in grave pericolo di sopravvivenza: quasi
il 30% di tutti i vertebrati italiani, circa 700 specie in tutto, un 600 di
terrestri e un centinaio di marine.
E non basta ancora:
secondo le stime degli studiosi, sono quasi 270 le specie che rischiano grosso. Tra queste, lo squalo volpe,
l’anguilla, la trota mediterranea, il grifone, la pernice bianca e l’orso bruno
che, dati alla mano, sembra conti non più di 30, 35 capi sulle Alpi, meno di 55
sugli Appennini.
Sempre meno
ricchezze
Finora, il nostro
Paese è stato il
primo in Europa per
ricchezze naturali: la sua fauna, tra oasi, parchi e riserve, conta più di 57
mila specie, circa 56 mila invertebrati e oltre 1000 vertebrati, mentre la
flora ne ha almeno 5.600. In pratica, circa il 43% di quelle presenti in
Europa. Ma la certezza di rimanere in vetta sta svanendo. Molti animali si
stanno decimando, sia sulla terraferma sia nelle acque: sembra sia in pericolo
il 68% dei vertebrati e il 40% delle piante.
Le principali
minacce sono sempre le “solite”, ormai note: la distruzione degli ambienti naturali per fare posto all’agricoltura intensiva
che, oltretutto, utilizza pesticidi di vario genere. E poi l’inquinamento
dell’aria e la caccia illegale. Per gli abitanti dei mari, invece, la prima
causa di mortalità è la cattura nelle reti utilizzate per pescare le specie
destinate al commercio.
Ghiri e
scoiattoli addio
Nella “lista rossa”
degli animali in pericolo c’è un po’ di tutto. Anche quelli apparentemente
comuni, come il ghiro e lo scoiattolo rosso, messo in minoranza dalla
agguerrita specie americana, introdotta in Europa e nei parchi italiani negli
anni Cinquanta. E poi altri piccoli roditori, e persino le lucertole e varie specie di formiche e farfalle.
Anche i pipistrelli si stanno riducendo di numero.
Rappresentavano quasi la metà delle specie di mammiferi italiani, ora rischiano
di perdere questo primato. Patiscono la distruzione delle loro aree di rifugio,
con tanto di taglio degli alberi e disturbo delle grotte. Per non parlare
dell’uso delle sostanze nocive nell’agricoltura.
Lungo l’elenco dei volatili a rischio. Tra i tanti, rimangono poche aquile
del Bonelli, 12, 15 coppie al massimo, concentrate in Sicilia, come pure si sta
riducendo il capo vaccaio, piccolo avvoltoio di origine africana. Poche
centinaia di coppie anche di lanario, falco di media taglia, lungo una
cinquantina di centimetri, sparse dalla Toscana alla Sicilia e tuttora
minacciato dalla caccia illegale e da uno “sport” decisamente particolare: il
prelievo delle uova dai nidi.
Declino pure per
la lince: la popolazione alpina, circa 120 esemplari, sta
soffrendo, soprattutto nelle Alpi orientali. Come il lupo: mentre nel resto
d’Europa vive abbastanza tranquillo, in Italia la popolazione è di soli 500,
800 individu
i, distribuiti lungo l’Appennino. Tanto da non essere ancora
considerato fuori pericolo.
Acque impoverite
Anche i fiumi e i laghi italiani stanno perdendo il loro
patrimonio. Sono decine le specie di pesci considerate ormai quasi estinte.
Rischia di sparire pure la piccola tartaruga d’acqua dolce, decimata dalle più
aggressive tartarughe di specie non italiane buttate nei corsi d’acqua
dall’uomo, stanco di tenerle in casa.
La lontra sopravvive in Basilicata, Campania, Calabria e
Molise, con circa 250 capi distribuiti lungo i fiumi, ma è minacciata oltre dall’inquinamento
delle acque, dalle auto che le prendono sotto.
Nelle acque marine
iniziano a scarseggiare la balenottera comune, il tursiope, grande delfino
lungo fino a 4 metri, le razze e le mante; molto rari gli avvistamenti di foche monache, del resto scarsissime in tutta Europa,
nemmeno 250 in tutto. Stessa sorte per le orche, numerose specie di squalo e il
piccolo cavalluccio marino.
Buone
notizie
In questo scenario
sconfortante, qualche animale riesce per fortuna a non soccombere. Ad esempio,
il camoscio
appenninico, con una
popolazione tornata a 700, 800 esemplari e lo stambecco alpino. È tornato sulle
10 mila unità il capriolo italico, ha recuperato il cervo sardo, ridotto fino a
qualche anno fa a poche decine di capi per colpa della caccia: ora si aggira
sui duemila individui. Anche se la minaccia del bracconaggio è sempre dietro
l’angolo.
Discreti dati anche
per il falco pellegrino, circa 1300 coppie. Ma è
l’airone bianco maggiore, grande ed elegante volatile, che ha mostrato i migliori
segnali di ripresa. Questi esemplari, che nidificano soprattutto nei canneti e
nelle zone umide con alberi e vegetazione acquatica, sono in aumento in tutta
Europa, e in Italia si contano ora circa un’ottantina di esemplari. Che
diventano più numerosi in inverno, quando, dai Paesi europei, raggiungono
l’Italia per svernare. Per il momento, trovano qui ancora l’ambiente ideale per
sopravvivere alla stagione più dura.
© Gianna Boetti - Mondo Erre