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POVIA – Come volare facendo “oh!”

La “oh” di sorpresa che Giuseppe Povia ha messo sulle bocche dei suoi bambini nella canzone che lo ha fatto conoscere al grande pubblico l’anno scorso, si sarà certamente formata sulle labbra dell’artista all’annuncio della sua vittoria a Sanremo 2006 con “Vorrei avere il becco”. Una bella soddisfazione, che si aggiunge a quella collezionata nel 2005 proprio sullo stesso palco dell’Ariston quando “I bambini fanno oh”, esclusa dalla gara, era diventata la colonna sonora per un’iniziativa di solidarietà per il Darfur promossa al Festival. Un brano che aveva catturato gli ascoltatori, tanto da diventare il più venduto in Italia nel 2005 e, ancora oggi, presente in classifica.
A quel singolo, Povia ha poi fatto seguire “Evviva i pazzi… che hanno capito cos’è l’amore”, un album dal semplice gusto pop di buona fattura. E ora la conquista del trono sanremese con un brano ispirato ai piccioni, “Vorrei avere il becco”, e il disco “I bambini fanno oh… La storia continua”, che ripropone le canzoni del precedente album più sette inediti. Mondo Erre lo ha raggiunto telefonicamente qualche giorno dopo l’exploit di Sanremo.

L’INTERVISTA

Cosa si prova a vincere il Festival?
È stato emozionante scoprire di esserne il vincitore, anche perché sinceramente non pensavo proprio di tagliare il traguardo per primo. Ero già contento di essere arrivato alla serata finale e ancora oggi faccio un po’ fatica a rendermene conto
.
La tua canzone ha suscitato qualche sorriso, ma dietro il titolo si parla di fedeltà in amore. Perché hai toccato questo argomento?
Guardandomi in giro, mi sono accorto che sempre più coppie fanno fatica a stare insieme, a portare avanti un progetto di vita serio. Ho così usato l’esempio del piccione, uccello fedele, per dire che non ci si può sempre mettere in discussione in una relazione, magari per motivi banali. Quando c’è la buona volontà, un amore lo salvi. Io sono felice quando penso alla mia donna, con cui sto da dodici anni, e vedo crescere mia figlia.

Come è cominciata la tua avventura nella musica?
Con l’acquisto in edicola di un metodo per suonare la chitarra: “Chitarrista in 24 ore”. Quei primi accordi sono diventati come le pagine musicali di un diario. Erano canzoni ingenue. D’altra parte, per scrivere un brano privo di stupidaggini non dico che bisogna aver sofferto, ma almeno possedere una certa maturità. Poi ci sono le eccezioni, come Tiziano Ferro.

Ti sei ispirato a qualcuno?
La sensibilità alla melodia deve avermela trasmessa mia mamma, che cantava sempre mentre faceva le pulizie di casa. Poi ho ascoltato tanta musica italiana, soprattutto Vasco Rossi, Claudio Baglioni, Rino Gaetano. Ho poca dimestichezza con gli stranieri, a parte i classici Beatles o i Rolling Stones. C’è stato un periodo, però, che sono andato matto per gli Europe.

Emergere nella musica non è mai facile. Cosa ti ha dato la forza di continuare?
Il lavoro. Per 14 anni ho fatto il cameriere, un mestiere che, oltre a farmi tirare avanti, mi è servito per imparare a comunicare con la gente. Quando tornavo a casa, mi mettevo a suonare: a volte era uno sfogo, altre un rifugio. Quelle canzoni, ogni tanto, andavo a proporle in giro senza successo. E infatti ho pensato sovente di smettere con la musica, almeno sei o sette volte al mese. Poi spuntava un altro brano, e andavo avanti

Come hai vissuto l’affermazione travolgente de “I bambini fanno oh”?

È stato molto gratificante, ma il problema vero è arrivato dopo. Nonostante il successo, il secondo singolo ha faticato a passare nelle radio, il videoclip bellissimo che ho girato ha incontrato difficoltà a farsi vedere… I media, insomma, vogliono subito il pezzo che funziona, altrimenti si disinteressano all’artista. E questo vale in sostanza quasi per tutti. Io comunque ho cercato di seguire la mia strada: non ho mai avuto l’ambizione di diventare come Vasco Rossi, mi basta rimanere un’emergente almeno per altri dieci anni.

Quale messaggio vuoi comunicare con la tua musica?
La chiavi di lettura delle mie canzoni sono la speranza e l’amore, anche se non cerco di lanciare un vero e proprio messaggio. Quando compongo un brano parto ovviamente da una considerazione personale, ma scrivo molto per gli altri, nel senso che vorrei riuscire a tirare fuori sempre canzoni che abbiano un’unica interpretazione.

Nilus
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©AGOSTINO LONGO
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