Piccolo, ma prodigioso. Il colibrì, l’uccellino capace di restare fermo in volo mentre assapora il nettare dei fiori, è dotato di ferrea memoria. Parola di scienziati. Un gruppo di ricercatori britannici e canadesi ha dimostrato che il colibrì, nonostante abbia il cervello settemila volte più piccolo del nostro, ricorda esattamente dove e quando ha trovato il cibo: insomma, può tenere a mente non solo la posizione esatta della pianta dalla quale ha attinto il nettare, ma anche il periodo in cui lo produce. E quindi di ripresentarsi puntuale ad attingere.
Per giungere a queste conclusioni, gli studiosi hanno seguito per qualche tempo la migrazione nelle Montagne Rocciose canadesi di alcuni colibrì rossi e li hanno nutriti con dei fiori artificiali, “imbevuti” di nettare ad orari precisi: alcuni ogni dieci minuti, altri ogni venti. I colibrì, che non hanno perso un colpo, ritornavano a mangiare seguendo l’orario di ciascun fiore. Un comportamento unico per un animale in libertà.
Leggeri e straordinari
Secondo i biologi, questa capacità di ricordare è legata al fatto che i colibrì (pesano poco più di tre grammi) devono risparmiare le forze per compiere il lungo tragitto fra il Canada e il Messico. Così, se dovessero tornare su un fiore privo di nettare, sprecherebbero troppe energie, indispensabili per il proseguimento del viaggio.
Protagonista della ricerca, il colibrì dalla gola rossa, è diffuso soprattutto nel Sud America, dove vola in parchi cittadini, boschi e giardini. È il più comune anche negli Stati Uniti: lungo nove centimetri, piccolo becco a forma di ago, ha penne di color verde brillante sul dorso e bianche sulla pancia. Il maschio ha anche una macchia rosso acceso sulla gola.
Quasi tutti i colibrì vivono nelle regioni più calde dell’America meridionale. Sono gli uccelli più piccoli del mondo, lunghi tra i 6 e i 22 centimetri. E c’è addirittura una specie grande quanto un calabrone. È anche un animale unico per il suo modo di volare: le ali si muovono avanti e indietro anziché in su e in giù e battono così velocemente che risultano invisibili all’occhio umano. Vibrano infatti dalle 80 alle 200 volte al secondo ed emettono un ronzio caratteristico: per questo vengono anche chiamati uccelli mosca.
Il colibrì detiene un altro record: è l’unico uccello capace di volare in qualsiasi direzione, anche indietro. E, come il falco, può rimanere fermo in volo: si posa raramente, perfino per mangiare. Goloso di nettare, viene attratto dai fiori lunghi e tubolari, soprattutto se di tinte brillanti come l’arancione o il rosso.
Uniti dalle piume
Esistono 8.600 specie di uccelli. Di queste, una quarantina ha rinunciato a volare. Come galli, fagiani, pavoni e tacchini, che hanno ali piccole rispetto al corpo e possono solo svolazzare. O come il pinguino, che ha sì le ali, ma di dimensioni ridotte e svolgono mansioni diverse: servono da remi in acqua, mentre sulla terraferma sono utili alla femmina per schiaffeggiare il pretendente che non le va a genio.
Si sono adattati alla vita terrestre anche gli struzzi, diventati molto veloci nella corsa e campioni di salto: i loro balzi raggiungono il metro e mezzo. Le loro uova sono le più grandi: hanno un diametro tra i 10 e i 15 centimetri e pesano fino ad un chilo e mezzo. L’equivalente di 25 uova di gallina.
Grandi o piccoli, canterini o meno, gli uccelli hanno una dote in comune: le penne, che formano un rivestimento leggero e flessibile, ricco di spazi in cui l’aria rimane intrappolata creando un perfetto isolamento termico. Ecco perché riescono a mantenere invariata la loro temperatura, superiore a quella dei mammiferi, anche negli strati più alti dell’atmosfera o nei climi più rigidi.
Il numero di piume di un uccello dipende soprattutto dalla sua taglia: possono variare da 940 in un colibrì a 25 mila in un cigno. Tutte vengono rinnovate ogni anno: per questo fenomeno, detto muta, ogni penna che cade viene rimpiazzata da una nuova.
Per richiamare i loro compagni, all’alba merli, pettirossi, allodole e corvi si esibiscono con melodiose sinfonie. Ogni specie con il proprio linguaggio, con motivi unici, differenti da quelli di qualunque altra specie. La scoperta è piuttosto recente: scienziati americani hanno notato che alcuni uccelli imparano a cantare ascoltando e poi imitano i propri simili, come succede tra i delfini e le balene.
Un apprendimento che sembra richiedere molto impegno. Si è osservato, ad esempio, che alcuni fringuelli cercano di migliorare a poco a poco le singole componenti del canto, le cosiddette “sillabe”, mentre altri si esercitano su schemi più lunghi chiamati “motivi”. Per i ricercatori, la scelta dipende da cosa fanno i più grandi: infatti, gli allievi copiano le “esercitazioni” dei loro fratelli maggiori. E, col tempo, tutti riescono a eseguire lo stesso canto.
Anche a volare si impara poco per volta. Con l’aiuto di genitori attenti e premurosi, che guidano amorevolmente i pargoli. Ogni specie ha un suo particolare modo di volteggiare nel cielo. Negli uccelli di piccole dimensioni, il volo consiste di solito in battiti d’ala ripetuti; negli animali più grandi, come cicogne, gru, rapaci diurni, albatri, il volo è invece “planato”: dopo aver raggiunto una certa altezza, planano infatti come alianti, tenendo le ali aperte e immobili. Un tipo di volo che permette di acquistare quota sfruttando le correnti d’aria ascensionali. Gli uccelli più grandi spesso sono costretti a correre battendo le ali per acquistare la velocità necessaria al decollo.
E una volta tra le nuvole, si ripete per gli uccelli, piccoli o grandi che siano, il “miracolo” del volo, così tanto studiato e invidiato dall'uomo ma, per certi versi, ancora misterioso.
GIANNA BOETTI