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SPAZIO 2004: TRAGUARDI E PARTENZE

Per gli appassionati di viaggi spaziali il 2004 è un anno molto interessante e movimentato, con un fitto calendario di arrivi e partenze. Sul tabellone degli arrivi troviamo le sonde europee ed americane che, con più o meno fortuna, sono arrivate a Marte, la sonda americana “Stardust”, che il 2 gennaio ha sorvolato la cometa “Wild 2” catturandone un pizzico di polvere che dovrebbe riportare sulla Terra nel 2006, e la navicella mezza americana e mezza europea “Cassini” che nella prossima estate raggiungerà Saturno e a fine anno rilascerà una specie di scialuppa chiamata “Huygens”. Questa, a sua volta dovrà atterrare su Titano, il satellite più grande di Saturno, dove forse l’ambiente è simile a quello della Terra primordiale. Ma non è finita: in dicembre la sonda europea “Smart-1” sarà in vista della Luna e si inserirà in un’orbita che sorvola i poli del nostro satellite. Il tabellone delle partenze ci segnala invece le sonde “Deep Impact”, americana, e “Rosetta”, europea, che raggiungeranno due comete, mentre la navicella “Messenger” ha come traguardo Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. A spasso su Marte La fine del 2003 e l’inizio del 2004 sono stati all’insegna di Marte. Nella notte di Natale è entrata in orbita attorno al pianeta rosso la sonda “Mars Express”, lanciata dalla base russa di Baikonour per conto dell’Agenzia spaziale europea (Esa). L’operazione è riuscita felicemente. È fallito invece il tentativo di fare scendere su Marte il robottino “Beagle-2” che pochi giorni prima si era staccato da “Mars Express”. Avvolto da un airbag per attutire lo scossone dell’atterraggio, avrebbe dovuto trasmettere informazioni dalla Isidis Planitia, una regione pianeggiante non lontana dall’equatore di Marte. Purtroppo però tutti i tentativi di stabilire il collegamento radio sono falliti: “Beagle-2” non ha fatto sentire la sua voce neppure quando la sonda-madre “Mars Express” ha sorvolato a bassa quota il punto nel quale il robottino dovrebbe aver toccato il suolo. Costato quasi 50 milioni di euro, concepito e realizzato da scienziati inglesi, aveva a bordo un laboratorio da “piccolo chimico” progettato per la ricerca di tracce di vita presente o passata: per questo portava il nome della nave che nell’Ottocento portò Charles Darwin in un viaggio intorno al mondo che permise al biologo inglese di scoprire l’evoluzione delle specie viventi. All’agenzia spaziale europea ci si consola comunque con il successo di “Mars Express” che, da un’orbita polare, per almeno due anni dovrebbe esplorare il pianeta rosso, con il compito principale di individuare la presenza di acqua, o meglio di ghiaccio, nel sottosuolo: a bordo, infatti, ha uno speciale radar a onde lunghe, realizzato da scienziati italiani, che permette di sondare il terreno marziano fino a cinque chilometri di profondità. I primi risultati sono arrivati il 24 gennaio: gli strumenti della sonda europea hanno trovato abbondanti tracce di ghiaccio vicino al polo sud di Marte, confermando con una tecnica nuova e diversa dati meno sicuri che erano giunti dalla navicella americana “Odyssey” nel 2002. Mentre l’assalto europeo a Marte è riuscito solo a metà, la NASA, che ha fatto scendere su Marte le sonde “Spirit” e “Opportunity”, può vantare un successo pieno. O quasi. Il 4 gennaio “Spirit”, protetto da 24 airbag, è atterrato nell’antichissimo cratere Gusev, prodotto dalla caduta di un asteroide 4 miliardi di anni fa e ha subito lanciato un bip-bip per segnalare che tutto era andato bene. Poco dopo sono arrivate le prime fotografie: inizialmente in bianco e nero e in bassa definizione, poi ad alta definizione e in tre dimensioni. Si vede una pianura color mattone cosparsa di piccoli sassi, in parte smussati dal vento e coperti di sabbia e polvere molto fine. Sullo sfondo, un cielo rosa. Gli scienziati della Nasa pensano che molto tempo fa qui ci fosse un lago, ora completamente prosciugato: un posto ideale per cercare indizi (fossili) di vita primordiale. “Spirit” ha perso il contatto radio con la Terra dopo due settimane di lavoro. I suoi segnali sono poi di nuovo stati captati, ma molto debolmente: in ogni modo la parte più importante della missione si poteva considerare già compiuta e l’attenzione si è tutta concentrata sul suo gemello “Opportunity”, atterrato il 24 gennaio nel Meridiani Planum, sull’altro emisfero del pianeta rosso, a diecimila chilometri di distanza da “Spirit”: almeno non ci saranno incidenti stradali! “Opportunity” ha inviato immagini di un pianoro di colore scuro, con minerali di ematite: e dato che l’ematite è un ossido di ferro che si forma di solito in presenza di acqua, gli scienziati pensano che questo sia il posto giusto per cercare segnali di vita. I robot che le sonde “Spirit” e “Opportunity” hanno depositato su Marte sono molto più grandi, potenti e attrezzati di quel “Sojourner” che scese sul pianeta rosso il 4 luglio del 1997. Dotati di sei ruote indipendenti e di quattro ampi pannelli solari che ricaricano batterie al litio fornendo una potenza di 140 watt, questi robottini sono sormontati da un braccio verticale che porta, sopra uno snodo rotante a 360 gradi, una coppia di telecamere panoramiche che forniscono immagini stereoscopiche: possiamo così vedere Marte con gli occhi di un astronauta. Le due telecamere panoramiche ne hanno accanto altre due che invece servono a individuare gli ostacoli e a pilotare gli spostamenti (varie centinaia di metri) del fuoristrada. Sul loro dorso si trovano tre antenne: i dati vengono inviati a una navicella in orbita, che a sua volta li invia alla Terra. Sul lato anteriore dei due fuoristrada, un braccio mobile porta una telecamera fornita di microscopio: il suo compito è quello di scattare macrofotografie molto particolareggiate delle rocce. Davanti al microscopio c’è uno strumento che ricorda un trapano da dentista: serve a raschiare le rocce per asportarne lo strato superficiale e mettere a nudo gli strati interni, dove, non arrivando le radiazioni cosmiche, potrebbe annidarsi qualche forma di vita. Le due navicelle americane che hanno viaggiato dalla Terra a Marte pesavano 1.062 chilogrammi. Sembravano grandi ciambelle: avevano un diametro di 2,65 metri e un’altezza di 1,6. Il loro prezioso carico era costituito dal modulo di atterraggio (lander) pesante 365 chilogrammi e dal “rover”, il fuoristrada (174 kg). Costo complessivo: 850 milioni di dollari. Il “Sojourner” che ci fece sognare nel 1997 era grande come un fornetto a microonde (65 centimetri) e aveva quindi ruote molto piccole. “Spirit” e “Opportunity” sono grandi quasi come una utilitaria da città (1,6 metri è la loro lunghezza) e con le loro ruote da 26 centimetri possono superare grosse pietre e arrampicarsi su pendenze di 45 gradi. La velocità è di 5 centimetri al secondo, 180 metri all’ora. Durante la notte marziana, quando la temperatura scende a -105 °C, le batterie non possono funzionare e tutte le apparecchiature vanno in letargo fino al ritorno del Sole. Anche il “cervello”: un computer che monta chip utilizzati in alcuni modelli Macintosh, capaci di lavorare a 20 milioni di istruzioni al secondo. I guai della stazione spaziale Le cose vanno meno bene per le missioni spaziali con equipaggio e per il futuro della Stazione Spaziale Internazionale “Alpha”. I problemi, naturalmente, nascono tutti dall’incidente che il 1° febbraio 2003 ha visto la distruzione dello shuttle “Columbia” e la tragica fine dei sette astronauti che erano a bordo. La Nasa, cioè l’agenzia spaziale americana, è impegnata su due fronti: da un lato deve revisionare le tre navette che rimangono per renderle più sicure, dall’altro deve progettare una navicella più semplice e leggera, pensata esclusivamente per traghettare gli astronauti verso la Stazione Spaziale e ritorno, e non con il doppio compito di traghetto e laboratorio scientifico, caratteristica che rende le attuali navette molto più complesse, e di conseguenza più costose e meno affidabili. Con gli Shuttle fermi in revisione, oggi i collegamenti tra la Terra e la Stazione “Alpha” sono affidati esclusivamente alle vecchie “Soyuz” dei russi. Inutile nasconderselo: a questo punto, se già prima dell’incidente non mancavano le incertezze sulla sorte dell’ambizioso laboratorio orbitante, adesso la Stazione Spaziale è in crisi profonda. Dall’ottobre dell’anno scorso abitano sulla stazione “Alpha” Michael Foale della Nasa e ad Alexander “Sasha” Kaleri dell’Agenzia spaziale russa, veterani di parecchi voli sullo Shuttle e sulla Mir. Il loro compito è quello di mantenere in efficienza la “casa” spaziale, ma in pratica i due astronauti possono occuparsi quasi soltanto dell’ordinaria manutenzione, mentre i programmi di ricerca procedono al rallentatore o devono essere rinviati. La missione “Soyuz” che assicurerà il loro avvicendamento è in programma per aprile. Partirà il tedesco André Kuipers. Dovrà metter pazienza il nostro Paolo Nespoli, attualmente in addestramento alla Nasa: non diventerà astronauta prima del 2005-2006. I tre Shuttle superstiti rimarranno sotto revisione almeno fino a settembre. La commissione d’inchiesta ha accertato che a causare la disintegrazione della navetta durante la fase di atterraggio è stato il calore dell’attrito con l’atmosfera intorno agli 80 chilometri di quota, calore propagatosi alla struttura del velivolo in seguito al distacco di alcune piastrelle, che a loro volta erano state colpite nella fase di decollo da frammenti della protezione termica del grande serbatoio dell’ossigeno e dell’idrogeno liquidi, frammenti appesantiti da uno strato di ghiaccio. Messi sotto accusa dal durissimo rapporto della commissione di inchiesta sull’incidente del “Columbia”, i tecnici dell’agenzia spaziale americana stanno lavorando su parecchi punti critici: l’adesione delle piastrelle dello scudo termico alla struttura della navetta, l’adesione dell’isolamento termico al serbatoio, la reazione delle varie parti agli sbalzi di temperatura durante le manovre di salita e discesa. Le date attualmente individuate per il primo lancio Shuttle del dopo-Columbia sono il 16 settembre, l’11 ottobre, il 19-21 novembre e il 17-19 gennaio 2005. Diverse considerazioni fanno pensare che la data più lontana sia anche la più probabile. Tutto dipenderà da come andranno due voli di prova che dovrebbero avvenire nella prossima estate. Insomma: è svanito l’ottimismo del 30 ottobre 2000, quando i primi inquilini raggiunsero la Space Station a 450 chilometri dal suolo con un razzo russo \"Proton\". Oggi la costruzione di \"Alpha\", è minacciata da dolorosi tagli al progetto originario, e in ogni caso non potrà essere completata prima del 2006-7. Oggi la stazione \"Alpha\" è lunga 48 metri e pesa 100 tonnellate. Ha già ricevuto la visita di 120 astronauti provenienti da una decina di Paesi e complessivamente ha permesso centomila ore di esperimenti. A cose fatte, dovremmo avere sopra di noi un laboratorio visibile a occhio nudo, grande come un campo da calcio (106 metri per 84) e pesante 430 tonnellate. Allora l’attività di ricerca e commerciale potrà finalmente andare a pieno regime. Il listino prezzi è pronto. Un armadietto per 3 mesi con 100 kilowattora di elettricità e 3 ore di lavoro di un astronauta: 830 mila euro. Un minuto di collegamento con i satelliti che rilanciano a terra i dati: 100 dollari. Portare su “Alpha” un chilogrammo di materiale: 27 mila dollari. Ma il problema è se le richieste dei ricercatori e delle aziende potranno essere soddisfatte considerando le attuali difficoltà di lancio. PIERO BIANUCCI
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©AGOSTINO LONGO
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