Ha vinto di tutto: sette titoli europei, tre campionati del mondo, i “World Games dei Pirenei e dell’avventura” svoltisi in Francia. Nel 1995 è entrato nel Guinness dei Primati nella specialità “speed slalom”, dopo aver percorso 100 “porte” in soli 20 secondi e 56 centesimi, record ancora oggi imbattuto.
Luca Giammarco, insomma, non si è fatto mancare nulla a livello agonistico, seguendo con la stessa velocità del suo skate una passione coltivata fin da bambino, quando sfidava gli amici nella gimcana tra bottiglie vuote e zaini nel parco vicino casa. Già allora lasciava a bocca aperta chiunque osservasse le sue acrobazie che promettevano un futuro da grande campione. Oggi possiede l’ambito titolo di “testimonial” della Nazionale italiana e ogni volta che partecipa a una gara ufficiale il tifo per lui non manca mai.
Tra un allenamento e l’altro fa da coach a un gruppo di ragazzi dell’agonistica, a cui insegna anche free climbling (l’arrampicata), l’altra sua grande passione sportiva. Nonostante i tanti anni di professionismo, non ha nessuna intenzione di appendere lo skate al chiodo. “La "tavola" è la mia vita – dice - e ho ancora tanti traguardi da raggiungere”.
L’INTERVISTA
DOMANDA: A che età hai iniziato a praticare lo skateboard?RISPOSTA: A dieci anni. Ogni giorno, tornando da scuola, mi fermavo a guardare un gruppo di ragazzi che facevano piroette incredibili con la loro tavola. Così decisi di salire anch’io su uno skateboard. E da allora non sono mai più... “sceso”! Mi piaceva talmente tanto che mi sono subito iscritto a una scuola del Coni. Ho cominciato ad allenarmi tutti i pomeriggi per ore e ore, partecipando a decine di tornei giovanili. In testa avevo un solo obiettivo: battere i più grandi skater nella categoria “speed slalom”. Oggi posso dire di esserci riuscito.
D. In cosa consiste lo speed slalom?R. Bisogna fare zig-zag tra dei piccoli coni nel minor tempo possibile. Facile a dirsi, ma difficilissimo da realizzare. Occorrono coordinazione fisica e concentrazione mentale. Ci sei solo tu, la tavola e il cronometro. In una competizione ufficiale basta “sforare” di qualche decimo per finire in fondo alla classifica. Assi come Kenny Mollica e Steve Olson sono duri da battere.
D. Quando hai vinto la prima gara?R. Nel 1988, a Praga. Si svolgevano i Campionati del Mondo e io ero sconosciuto al “grande” pubblico, con pochissime speranze di acciuffare un buon risultato. Ricordo la tensione prima della gara, eppure non mi sono fatto prendere dall’emozione. Ho dato filo da torcere ai campioni dell’epoca e ancora oggi mi chiedo come ho fatto.
D. Quante ore ti alleni al giorno?R. Circa due o tre. Non frequento palestre, ma prendo “in prestito” gli spazi che offre Torino, la mia città. In particolare faccio skate nel Parco del Valentino, una grande area verde dove mi alleno in tranquillità. Provo percorsi di tutti i generi, cercando di migliorare il mio tempo. Non sono quasi mai solo. Ogni giorno decine di ragazzi corrono da una parte all’altra del parco con lo skate. È bello ritrovarsi tutti insieme.
D. C’è differenza tra la tua specialità e le acrobazie che si vedono per le strade?R. Molta. La maggior parte dei ragazzi che salgono su una tavola fanno “street skate”, letteralmente “skateboard da strada”. È un modo per mettersi alla prova “sfidando” scale, marciapiedi, barattoli di ogni tipo. È una disciplina in cui gli americani sono maestri. Negli Stati Uniti si organizzano vere e proprie esibizioni, con tanto di biglietto e pubblico al seguito. Alcuni atleti sono veramente bravissimi, come Toni Hawk, protagonista anche di un videogioco. Lui si allena sulla “rampa”, cioè su quella specie di mezza luna che permette piroette eccezionali. È molto spettacolare, ed è per questo che attira tanti appassionati.
Uno sport da praticare insiemeD. Che ruolo hai all’interno della Federazione sportiva?R. Alleno un gruppo di giovani dell’agonistica. È un’attività che mi dà grandi soddisfazioni, dove metto in pratica gli insegnamenti appresi all’Isef (l’Istituto Superiore di Educazione Fisica), di cui ho il diploma, e l’esperienza maturata in tanti anni di professionismo. Sono ragazzi in gamba, con una grande passione per lo skate, la stessa che avevo io alla loro età. Cerco non solo di migliorare la loro tecnica, ma di insegnare che questo sport è prima di tutto un divertimento da praticare insieme.
D. Lo skate è cambiato negli ultimi anni?
R. Direi di sì. Oggi scorrazzare con una tavola sotto i piedi è anche un modo di essere e di pensare “importato” dagli Stati Uniti. Pantaloni e magliette extra-large e lo sguardo “tosto” sono i tratti tipici del “perfetto” skater. Non è un male: contribuisce a creare interesse da parte delle società di moda che investono cifre da capogiro in uno sport per lungo tempo messo ai margini. La Federazione sta facendo molto per creare nuove strutture dove i ragazzi possano allenarsi ed è attenta nello sviluppare sinergie anche internazionali con il surf, lo sci e lo snowboard. Sono sicuro che in pochi anni la situazione migliorerà notevolmente.
D. Qualcuno dice che lo skate è pericoloso. Sei d’accordo?
R. No. Per evitare brutti incidenti basta usare il cervello, come in tutti gli sport. Buttarsi dalle scale con lo skate a velocità pazzesca o scivolare su un corrimano può essere divertente, ma molto rischioso. In qualsiasi caso, bisogna usare le protezioni: guanti, ginocchiere, casco… Per questo consiglio sempre di iscriversi a scuole legate al Coni dove, oltre ad imparare le tecniche di base, si stipula una assicurazione contro gli infortuni.
D. Continuerai ancora per molto a fare skate?
R. Finché le forze mi sostengono, penso proprio di sì. Benché sia da tanti anni che pratico questo sport a livello professionistico, la voglia di gareggiare è sempre la stessa di quando ero ragazzo. Partecipare a una competizione è un’emozione che non mi stanco mai di provare, per cui continuerò ad allenarmi con grande passione.
FRANCESCO FINIZIO