Invece di andare in letargo, mamma orsa ha preferito fare una camminata con i suoi due cuccioli nella zona del Parco Adamello Brenta, spingendosi persino sulla pista di sci di Madonna di Campiglio dove si è messa a prendere il sole. Quest’inverno di caldo eccessivo le ha fatto cambiare abitudini: passeggiate nel bosco al posto di sonore ronfate.
La notizia, subito riportata da giornali e tv, è la spia di un fenomeno che non riguarda solo l’Italia. Il clima troppo mite di quest’anno ha tenuto svegli tanti dormiglioni. Gli orsi della Siberia, che a fine novembre sono di solito già rintanati sotto la neve, in questo periodo avevano gli occhi ancora ben spalancati: sono stati avvistati in piena attività nella regione di Kemerovo, a oltre tremila chilometri da Mosca, dove la temperatura media in inverno si aggira su meno 20 gradi con punte di meno 45. Nel novembre 2006, contro ogni previsione, a mezzogiorno i termometri segnavano invece 12 gradi e la neve non ricopriva il paesaggio.
Non sarà facile per gli animali prendere confidenza con queste anomale calure. Se continuerà così, dovranno spostarsi alla ricerca di climi più freschi o modificare i loro ritmi di vita. Una vera assurdità, visto che la natura li aveva dotati di meccanismi perfetti per combattere il freddo.
Tiepide tane e morbidi piumini
Sono molte le tecniche per difendersi dal gelo e dalla scarsità di cibo. Se la maggior parte degli uccelli vola dove c’è più tepore e i viveri sono ancora abbondanti, i mammiferi di solito si comportano diversamente. Quelli che vivono nelle tundre dell’Artico migrano verso zone meno gelide, come i caribù, mentre gli animali che abitano in zone montagnose sono costretti a spostarsi a valle o salire più in alto. I camosci, che si ricoprono di un folto mantello, scendono di quota e svernano nei boschi, dov’è facile trovare qualcosa da mangiare. La stessa cosa fanno i cervi, mentre gli stambecchi salgono sui pendii più ripidi, dove la neve aderisce meno.
Gli stambecchi sono infatti pazienti: sanno che la neve non rimane ferma per molto tempo sulle ripide pareti verticali e quindi si arrampicano fino a trovare un anfratto asciutto, protetto dai venti, specialmente nei versanti esposti a sud. Insieme ai camosci, cervi, cinghiali e caprioli sono definiti animali “scavatori”, perché con i loro zoccoli, scavando diligentemente, arrivano a trovare erba e radici con cui cibarsi.
Qualcuno ha pensato anche di “vestirsi” meglio. La pernice bianca, che vive tutto l’anno sulle montagne a quote relativamente alte, trascorre parte del giorno in piccole grotte scavate sotto la neve: per resistere, le zampe si rivestono di piume che migliorano l’isolamento. Pure la volpe infoltisce il mantello. Ma non c’è paragone con il bue muschiato, vero campione di resistenza. Dovendo sopportare temperature di meno 40 gradi e i venti gelati del lungo inverno artico, ha un sottopelo otto volte più caldo della lana di pecora, mentre i peli dello strato esterno, spessi e impermeabili, possono raggiungere i sessanta centimetri di lunghezza.
Diversi mammiferi, come l’orso, la marmotta o il ghiro, hanno imparato a economizzare le forze andando in letargo. Nelle loro tane, lasciano che la temperatura del corpo si abbassi fino a pochi gradi, il cuore rallenti fino a tre-quattro pulsazioni al minuto e il respiro si riduca ad un’inspirazione ogni due-tre minuti.
Singolare, invece, la strategia adottata da un anfibio del Sudamerica, la rana dei boschi. Siccome la sua pelle non la protegge in modo sufficiente dal freddo, si trasforma in un pezzo di ghiaccio. Il 65% dell’acqua contenuta nel suo corpo gela e il respiro, il battito cardiaco e la circolazione del sangue si arrestano. Appena le temperatura aumenta, la rana si “scongela” ed esce di nuovo all’aperto.
Questo inverno, comunque, il riscaldamento della Terra ha prodotto problemi seri a molti animali. Tra questi, gli orsi. Diffuso in varie sottospecie in Europa e in Asia, l’orso bruno è abitudinario: una volta scelto il luogo adatto per passare la stagione fredda, continua ad usarlo anche per anni. Frequenta di solito le grotte o le cavità protette dalle rocce, ma all’occorrenza sa scavarsi una tana. È bravo ad arredarsi il rifugio con rami, foglie e muschio per renderlo più confortevole. Parlare di letargo per questi animali non è del tutto corretto, perché la loro temperatura corporea rimane intorno ai 30 gradi; se disturbati, sia gli orsi bruni che quelli polari, si risvegliano in pochi minuti.
Quest’anno, comunque, gli orsi hanno fatto fatica a schiacciare il solito lungo pisolino invernale. Evidentemente non sentivano la necessità di ripararsi dal freddo a causa dei cambiamenti climatici. Il rischio è che senza il giusto riposo non riescano ad arrivare alla primavera. Infatti, più a lungo stanno svegli, più consumano il grasso accumulato in estate, indebolendosi.
Ma non sono stati solo gli orsi a patire il caldo. Almeno 300 specie presenti in Gran Bretagna sono già migrate in cerca di un clima più fresco: gli scienziati hanno calcolato che circa l’80% degli animali presenti sul suolo britannico, tra insetti, piccoli mammiferi, vertebrati e invertebrati, ha lasciato il proprio territorio d’origine spostandosi tra i 70 e i 100 chilometri verso nord alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Sotto il sole
Chi al momento riesce ancora a tollerare molto bene i climi torridi come quelli del deserto sono invece cammelli e dromedari. Robusti zoccoli li isolano dal caldo del terreno, narici e occhi sono dotati di sofisticate membrane che fanno da filtro alla sabbia. In grado di sopravvivere diversi giorni senz’acqua, si nutrono delle piante spinose che crescono nel deserto. La gobba, o le gobbe, inoltre, permette loro di cavarsela in questo ostile ambiente: sono infatti una riserva di grasso che l’animale sfrutta in caso di necessità.
Anche l’antilope sahariana ha particolari zoccoli piatti per non affondare nella sabbia rovente e riesce a mantenere sempre la sua temperatura corporea al di sopra dei sette, otto gradi rispetto a quella dell’ambiente. Così non suda e non si disidrata.
Le zampe del gerbòa, piccolo roditore, sono al contrario piuttosto deboli e quindi non può scavare in profondità. Per impedire al calore di entrare, chiude l’ingresso della sua tana con un sottile strato di sabbia. Vivendo così vicino alla superficie il Gerbòa è facile preda dei rettili ma, per evitare di essere catturato, l’astuto animaletto scava una galleria “di riserva” da cui poter scappare. Ai primi segni di pericolo, si infila in questa seconda via e balza fuori velocissimo. Saltellando sulla sabbia infuocata, si cerca subito un altro rifugio prima che il sole indebolisca le sue forze.
GIANNA BOETTI