Ci siamo già dimenticati delle scorie nucleari? Era il 14 novembre del 2003 e Scanzano Jonico, comune di 7 mila abitanti in Basilicata, scendeva in piazza inalberando cartelli che dicevano: “Non saremo la pattumiera d’Italia”. Negozi chiusi, stazioni ferroviarie occupate, strade bloccate. Uomini, donne, bambini, tutti insieme appassionatamente: per allontanare l’incubo di un nome – nucleare - che terrorizza da quasi 60 anni. Da quando cioè, era il 6 agosto 1945, gli americani sganciarono su una cittadina del Giappone, Hiroshima, la prima bomba nucleare, detta anche atomica: una distruzione mai vista prima, che mise fine alla seconda guerra mondiale. E anche quella volta la pace arrivò tardi: c’erano già stati 55 milioni di morti, tra militari e civili.
Scanzano Jonico è un bel paese del Metapontino, a 45 chilometri da Matera: ha 6 villaggi turistici e due porticcioli in costruzione. Oltre che sul turismo, punta su un’agricoltura specializzata: esporta fragole in Europa. Perché mai il governo avesse scelto questo luogo per depositarvi le scorie nucleari non è facile da capire. Anche se il decreto governativo accennava alle “particolari caratteristiche del terreno” e i responsabili della “Sogin”, la società incaricata di smaltire le scorie nucleari in Italia, tentavano di spiegare che il sito sotterraneo prescelto è “una formazione geologica unica al mondo”: un giacimento di salgemma (sale da cucina) a una profondità di 900 metri, in mezzo a due grossi letti d’argilla.
Lì si intendeva infossare circa 80 mila metri cubi di scorie, sistemati in una rete di cunicoli collegati tra loro da un pozzo centrale. Ma si sa come vanno certe cose nel nostro Paese: chi urla più forte ha spesso “ragione”. Così il governo ha frenato, rinviando la decisione sul cimitero nazionale delle scorie. Che, per ora, resteranno dove sono e cioè negli oltre 150 siti sparsi in tutta Italia.
In attesa del decreto definitivo si provvede alla “messa in sicurezza” degli attuali depositi a maggior rischio, con la costruzione di strutture per lo stoccaggio provvisorio. Verranno anche vagliate soluzioni alternative, e se Scanzano sarà confermato, serviranno 5 o 6 anni per organizzare meglio il deposito. Insomma, la protesta ha vinto, ma non se ne esclude un’altra.
L’impressione è che sia una vittoria di Pirro. Che è come dire: abbiamo perso tutti. Perché un fatto è certo: un posto per seppellire questa montagna di rifiuti e renderli innocui bisognerà pure trovarlo. A meno di continuare a rimuovere il problema, per lasciarlo in eredità alle generazioni future. Intendiamoci: qualsiasi altro paese sarebbe insorto con altrettanta forza. Perché i mercati sono globalizzati, non la solidarietà. E anzi in queste occasioni scatta la ”sindrome Nimby”, dall’inglese not in my back yard (non nel mio giardino).
La mancanza d’informazione e di trasparenza peggiora la situazione. Questa volta poi, se si considera che la Basilicata, con il suo milione di abitanti, è la regione meridionale più piccola e più povera, sembra legittima l’accusa di essere considerata come la “Cenerentola d’Italia”. In ogni caso, la rivolta di Scanzano ha fatto riaffiorare le antiche polemiche sul nucleare, sulla maledizione di un’energia destinata in origine a provocare distruzione e morte. È un tema difficile da affrontare.
Le domande essenziali
Per tentare di capire, occorre rispondere ad alcune domande.
1) Che cosa sono le scorie nucleari?
Sono rifiuti radioattivi, materiali solidi, liquidi e gassosi, tutti micidiali, prodotti dalle centrali nucleari, dall’uso di materiale radioattivo nei laboratori di ricerca e di medicina. Perché perdano la radioattività sono necessari anche centinaia di secoli. A differenza di chi le produce, molte scorie che disseminiamo nell’ambiente sono quasi immortali.
2) Quante e dove sono le scorie nucleari?
Le centrali atomiche, costruite per liberarci dalla servitù del petrolio e poi chiuse per volontà popolare nel 1987, ci hanno lasciato 53 mila metri cubi di rifiuti nucleari. Altri residui radioattivi provengono da ospedali, laboratori, industrie. In totale, in Italia ci sono oltre 80 mila metri cubi di rifiuti. Sono stoccati in 150 siti sparsi in tutto il Paese, in condizioni giudicate di “scarsa sicurezza”.
3) E in Europa?
In nessuna nazione europea esiste un deposito nucleare “unico” come quello che si voleva realizzare a Scanzano Jonico. Anche se riuscissimo a risolvere in maniera soddisfacente il problema dello stoccaggio, a pochi chilometri dal nostro confine si continua a produrre energia atomica. Noi abbiamo chiuso le nostre centrali atomiche, ma comperiamo l’energia di quelle estere: paghiamo senza essere più sicuri.
La sola Francia crea ogni anno 25 mila metri cubi di residui nucleari. In caso di un’avaria ad una centrale e di una conseguente fuga di gas, alla frontiera nessuno potrebbe dire “alt, di qui non si passa!”.
4) La paura della gente è motivata?
È irrazionale e sensata al tempo stesso. I governi insistono sull’assoluta sicurezza dei procedimenti di stoccaggio. E così fanno la maggior parte degli scienziati. Ma il Premio Nobel Rubbia dice che “non ci sono certezze” e la catastrofe della centrale di Cernobyl è ancora un incubo.
5) Le scorie radioattive sono le più pericolose?
Siamo circondati dalle scorie e non è detto che quelle radioattive siano le più pericolose. Il nostro sfrenato consumismo genera montagne di rifiuti e fra questi, materiali che la natura non potrà mai assorbire, o veleni chimici che ci tornano indietro nella frutta o nella verdura. Ognuno di noi è una piccola discarica di scorie: l’italiano medio ogni anno produce 600 kg di spazzatura, compresi almeno 30 kg di prodotti velenosi non combustibili. Poi ci sono le scorie dell’agricoltura e i rifiuti industriali. La raccolta differenziata e il riciclaggio sono ottime soluzioni, ma non bastano.
6) Le nuove tecnologie inquinano meno?
Anche questa è un’illusione. Per produrre un telefonino ultraleggero si fanno 75 kg. di rifiuti; per un personal computer, un quintale e mezzo. Mercurio e piombo, pesticidi e diserbanti finiscono spesso nelle grandi vasche della piscicoltura cinese, dalla quale mezzo mondo importa pesce surgelato.
Un rischio planetario
È possibile trovare un sito dove raggruppare tutte le scorie e i rifiuti derivati dall’attività nucleare? Presso ciascuno degli impianti (dalle centrali fino ai medi e piccoli depositi) dislocati un po’ in tutto il territorio, sono stoccati i materiali radioattivi. Considerando anche quelli che deriveranno dallo smantellamento delle 4 centrali nucleari (Trino, Caorso, Latina e Garigliano) e dagli impianti di trattamento e fabbricazione del combustibile nucleare (Saluggia, Bosco Marengo, Casaccia e Trisaia) restano da sistemare circa 55.000 metri cubi di materiale a bassa e media attività e 8.500 metri cubi di materiale ad alta attività radioattiva Al problema si aggiunge anche quello relativo alla sistemazione del combustibile nucleare esaurito che ammonta a circa 350 tonnellate.
Nel 1999 il governo individuò 214 aree idonee ad ospitare il deposito. La maggior concentrazione si rilevava tra la Toscana e il Lazio, lungo la costa tirrenica, tra la Basilicata e la Puglia, nell’entroterra e lungo la costa ionica. Il “cimitero” dei rifiuti radioattivi non deve essere in una zona sismica o vulcanica, non deve avere fiumi, laghi o falde acquifere superficiali, non deve essere vicina a centri abitati o previsioni di sviluppi urbani, non in montagna o su coste soggette a frane, erosioni o alluvioni e dev’essere lontano da giacimenti petroliferi o di gas.
Scanzano, a parte i vulcani, ha tutte le caratteristiche per non essere il sito adatto. L’Italia è estremamente avara da questo punto di vista. È necessario dunque ricorrere all’individuazione di un ulteriore parametro che possa mitigarne la carenza. Serve un deposito profondo dove il contenimento dei materiali radioattivi è affidato a formazioni geologiche di argilla, salgemma o granito. Una caratteristica fondamentale è la durata del contenimento che deve essere garantita per centinaia di migliaia o milioni di anni, tale è il tempo di esaurimento della radioattività.
Negli anni Settanta il “Servizio Geologico Nazionale” della U.E. ha dunque esaminato 45 località in Italia, dove nel sottosuolo sono presenti depositi salini. Scanzano Jonico è stato giudicato il più idoneo. Possiede uno strato di salgemma di oltre 150 metri che si è formato tra i 5 e i 6 milioni di anni fa per un’estensione di oltre 10 chilometri quadrati, protetto da uno strato di argilla di oltre 700 metri. Sembrerebbe tutto regolare, se per regolarità si intende la scelta del male minore. E del resto, poiché nulla si crea e nulla si distrugge, se non si trova un sito, non possiamo fare altro che vivere nella… provvisorietà.
Ma attenzione, qui non si parla di robaccia che va in putrefazione. Questa immondizia fa paura, deve fare paura, e non solo a chi vive vicino al deposito. Come dice il professor Rubbia, il “rischio è planetario”. Nel Duemila, la Dora Baltea a Saluggia straripò. Nei pressi degli argini sono situate cisterne che contengono 250.000 litri di combustibile liquido, frutto di un fallito tentativo di riprocessamento di barre d’uranio altamente radioattivo. Se l’acqua fosse riuscita a infiltrare, avrebbe dilavato le cisterne portandone il contenuto a spasso per il mondo e contaminato tutte le catene alimentari.
NADIA REDOGLIA