Roma-Milano-Firenze-Verona: la direttrice scelta da Renato Zero per incontrare dal vivo il suo pubblico passa per queste città. Una manciata di date (da fine maggio a giugno) appiccicate ai rispettivi quattro stadi, per contenere il faraonico spettacolo a supporto dell’ultimo felice album dell’artista, Cattura, uscito recentemente anche in un’edizione speciale. E la risposta del pubblico non si è fatta attendere: si va verso il “tutto esaurito” per ogni concerto, con replica nella capitale. A favorirne il successo, il prezzo contenuto (25 euro in qualsiasi ordine di posto) e l’interminabile lista di canzoni e dischi che hanno fatto di Zero uno dei maggiori esponenti del pop italiano.
D. Provi ancora emozioni a salire sul palco per l’ennesima volta?
R. Dopo 35 ani di carriera, non c’è altro luogo dove io mi trovi meglio. Desidero invecchiare sul palcoscenico, perché sotto i riflettori mi diverto e mi rallegro. Qualcuno mi suggerisce di andare a fare un viaggio, magari in qualche isola esotica, ma non ne ho bisogno. I miei viaggi li compio quando calpesto le assi del palcoscenico e ogni volta è una magia che si rinnova.
D. Cos’è che ti spinge a tornare in pista?
R. Penso di avere ancora qualcosa da dire, sento il bisogno di esprimere i miei stati d’animo. Se così non fosse, mi sarei già ritirato dalle scene. Sono ancora il regista della mia vita. Realizzare un album o un concerto sono appuntamenti con il mondo e con me stesso, che mi rimettono costantemente in gioco. E poi si aggiungono tante altre cose: i ricordi, le prospettive, una compagnia di validi collaboratori, l’incontro con la gente.
D. Come sarà concepito musicalmente il concerto?
R. Sfileranno, come le carrozze di un convoglio, tutti i miei “numeri uno”, cioè i brani più conosciuti della mia lunga carriera. Ogni tanto è giusto dare loro l’esclusivo proscenio, lasciando da parte quei pezzi, che amo altrettanto, che non hanno avuto l’identica esposizione per varie ragioni. E un po’ mi dispiace, visto che ho sempre molto curato la “confezione” dei miei dischi.
D. In che senso?
R. Nel senso che non ho mai compilato la scaletta degli album casualmente. Non per nulla, nel libretto dei cd, c’è sempre una presentazione che cerca di guidare l’ascoltatore nel mondo di quel disco. D’altra parte, io faccio parte di quella schiera di persone che mette sul piatto un album per compiere un viaggio. Oggi la cosa è possibile con i dischi di De Gregori, De Andrè e altri artisti, ma per molti si è persa questa idea. Tanti lavori sono realizzati con estrema leggerezza: si preparano dieci canzoni e si riempie il cd.
D. Dal punto di vista scenografico, quali sorprese riserverà lo spettacolo?
R. Sono un artista che ha frequentato il teatro, il cinema, la danza, il cabaret. Lo show conterrà un pizzico di questi elementi, ma non voglio anticipare troppo i suoi contenuti scenografici, anche perché ci sto ancora lavorando con i miei collaboratori. La ragione è che io sono uno che mette il naso ovunque, seguo le nuove tecnologie degli strumenti musicali come la confezione degli abiti, e ne devo essere contento.
D. Hai accennato ad alcuni grossi nomi della musica italiana del passato. C’è qualcuno, oggi, che riesce ad accendere il tuo interesse?
R. Rilevo con piacere il ritorno, almeno da una fetta discretamente consistente di artisti, a un modo di concepire la musica con una certa identità. Fino a qualche anno fa, a parte poche eccezioni, c’erano in giro i cloni di Vasco Rossi, Zucchero, Zero e così via. Invece, da un po’ di tempo, ho notato che ci sono musicisti dotati di una discreta personalità.
D. Qualche nome?
R. Non c’è un artista particolare, sono ancora tutti un po’ acerbi. Prendiamo l’ultimo Sanremo: è stata un’ottima pagina di spettacolo, ma tra i giovani che sono saliti sul palco, nessuno ha dimostrato ancora di avere una sua precisa fisionomia. Perché il paese dello spettacolo rilasci una carta d’identità credibile ci vuole tempo. Lasciamoli crescere.
D. Nel corso degli anni, la tua immagine si è modificata. Rispecchia un cambiamento anche sul piano personale?
R. Non ho mai amato gli atteggiamenti scontati, la prevedibilità, la pianificazione. Il fatto di non portare più i capelli lunghi e di indossare abiti più sobri non vuol dire che siano venuti meno l’estro o la rabbia o la passione di un tempo. Sono sentimenti che non si sono adeguati all’età né alle mode. Ho imparato, però, a dirigerli meglio. Quando ero giovane, tanti sentimenti buoni li gettavo un po’ via, ora invece cerco di dosarli meglio.
CLAUDIO FACCHETTI