01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 01 02 03 04 05 06 07 08 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10

LE BIOTECNOLOGIE

TUTTO INIZIO’ DA UN FRATE

Le moderne biotecnologie, basate sull’ingegneria genetica, vengono da lontano. La loro storia incomincia 150 anni fa nell’impero Austroungarico, quando per la prima volta si capì che ogni creatura vivente porta in sé il proprio patrimonio genetico, che trasmette ai suoi discendenti. Dobbiamo questa grande scoperta a un monaco agostiniano: Gregor Mendel. Fu lui che, incrociando piante di piselli, trovò le leggi fondamentali dell’ereditarietà. Ma nessuno se ne accorse. In certo senso, neppure lui. mendel

Il monaco botanico

Mendel nasce, unico maschio, da una famiglia contadina il 22 luglio 1822 a Heizendorf, in Slesia, a 150 chilometri da Vienna. Avrebbe dovuto ereditare la fattoria del padre, ma la madre, Rosine, su consiglio di un sacerdote, lo indirizza agli studi. Con risultati prima mediocri e poi disastrosi. Superato l’esame di maturità, si iscrive ad un corso di filosofia all’Università di Olmutz. La sorella più giovane, Veronica, sacrifica la dote per finanziargli gli studi, ma non basta. Gregor per campare fa il precettore e diventa frate agostiniano: prende gli ordini nel 1847 ed entra in convento.

Nel 1850 affronta gli esami di diploma a Vienna. Dopo un cattivo scritto di zoologia, all’orale fa quasi scena muta. Bocciato. Più per timidezza che per ignoranza: basso di statura, occhiali, mano grassocce e sudaticce, certo il fisico non l’aiutava ad essere disinvolto. Ritenta la prova nel 1855, di nuovo senza fortuna.

Il monastero di Brunn (allora capitale della Moravia) gli permette di dedicarsi ai suoi veri interessi: la botanica e la meteorologia. In quel tempo gli scienziati cercavano di capire il segreto delle specie viventi: sempre identiche a se stesse o in grado di cambiare e adattarsi all’ambiente? Gli incroci apparivano come un buon sistema per trovare la risposta.

Ma anche tra gli scienziati più intelligenti prevaleva l’idea che un incrocio fosse semplicemente la “media” dei caratteri dei genitori. Come una tazza di latte e una di caffè danno un cappuccino. L’idea che mescolando due cappuccini si potesse riottenere latte appena munto o, dopo qualche altra miscela, caffè puro, non sfiorava nessuno. Invece proprio questa fu la grande scoperta di Mendel: i caratteri ereditari sono come gli zeri e gli uno del computer, non esiste lo 0,5. E quindi si manifestano secondo la regola “tutto o niente”. Alcuni però sono caratteri “dominanti”, e tendono ad affermarsi nei figli e nei nipoti, altri sono “recessivi”, e rimangono nascosti per una o più generazioni.

Geni e piselli

Per i suoi esperimenti Mendel sceglie i piselli, la specie Pisum sativum. Gli incroci osservati per più generazioni sono il suo modo di interrogare i meccanismi della vita. L’orto e la serra del monastero diventano il suo laboratorio. Inizia il lavoro nel 1854, sei anni prima che Darwin, padre della teoria evoluzionista, pubblichi L’origine delle specie. Identifica sette caratteristiche delle sue piantine di piselli: semi gialli e verdi, lisci e rugosi, piante alte e piante basse…

Mendel diventa un professionista della fecondazione artificiale: con un pennello di peli di cammello, sparge il polline di un pisello rugoso nell’ovario di un pisello liscio, ripetendo gli incroci con vaie combinazioni per più generazioni. Piselli gialli e rotondi: doppia dominanza; verdi e rugosi, doppia recessività.

Dopo il primo raccolto, semina gli ibridi ottenuti e aspetta. Maturata la seconda generazione, Mendel sguscia i discendenti di 250 ibridi e conta 7.324 piselli: 5.474 erano lisci, gli altri rugosi. Una proporzione esattamente di 3 a 1. Prosegue per altre generazioni, per dieci anni, e osserva il riemergere dei tratti recessivi, trovando gli esatti rapporti matematici tra dominanti, ibridi e recessivi. Il cappuccino torna ad essere latte e caffè, a dimostrazione che “qualcosa” di invisibile tramanda le diverse singole caratteristiche: i geni, appunto, come poi si capirà.

I primi risultati, quelli più importanti per la storia della genetica, Mendel li cominciò in due conferenze davanti a una quarantina di persone venerdì 8 febbraio e venerdì 8 marzo del 1865. La scoperta cadde nella più assoluta indifferenza. Il testo fu poi pubblicato e Mendel ne fece circolare una dozzina di copie inviandole personalmente o per chiara fama. Solo uno gli rispose, contestandolo. La copia che inviò a Darwin è stata trovata tra le carte dello scienziato inglese con le pagine ancora da tagliare. Se Darwin avesse letto quel testo, la sua teoria avrebbe fatto un balzo in avanti.

Finalmente, nel 1900, tre scienziati - De Vries, Correns e Tschermak – indipendentemente, senza conoscere i lavori di Mendel, riscoprirono le stesse leggi dell’ereditarietà.

La parola “genetica”, invece, la inventa William Bateson nel 1905, il termine “gene” lo usa per la prima volta il danese Johannsen nel 1909. Mendel era morto 25 anni prima, il 6 gennaio 1884, per una malattia renale. L’ultimo capitolo della storia lo stiamo vivendo adesso: è l’ingegneria genetica, la grande sfida delle biotecnologie.

Nell’orto del futuro

Oltre al proprio patrimonio genetico, l’uomo oggi conosce quello di alcuni batteri, di alcune piante e di un certo numero di animali. Poiché ogni gene ha una specifica funzione, inserendo il gene giusto nel posto giusto è possibile dotare una pianta o un animale di nuove caratteristiche.
piselli e carote Per esempio possiamo avere piante resistenti ai parassiti e alle malattie o in grado di resistere alla siccità. Oppure topi con malattie più simili alle nostre per poter sperimentare su essi dei nuovi farmaci. O animali con organi trapiantabili sull’uomo senza che avvenga il rigetto perché dotati del nostro stesso sistema immunitario. È l’ingegneria genetica, la fabbrica degli “organismi geneticamente modificati”, abbreviati in “OGM”, per dirla più in fretta, che suscita tanti problemi etici.

La selezione genetica

Fin dall’antichità l’uomo ha incominciato a “pilotare” la mescolanza dei geni nelle piante e negli animali che più gli interessavano. I cani, i gatti, le mucche, i maiali e gli altri animali che alleviamo, e il grano, il mais, le mele e tutte le altre piante che coltiviamo, sono frutto di secoli di paziente selezione genetica. È così che dal frumento degli antichi latini, che produceva solo tre chicchi per ogni chicco seminato, siamo arrivati al nostro frumento che rende cento chicchi per ogni seme.

Oggi però l’ingegneria genetica ci permette di rendere più veloce la selezione genetica. I geni utili possono infatti essere immessi direttamente nella pianta o nell’animale che desideriamo rendere più utile ai nostri scopi. E ancora una volta il mondo si divide tra favorevoli e contrari.

Facciamo insieme due passi nell’orto del nuovo millennio. Attorno a noi vedremo piante insolite e strane. Il cotone cresce già blu, così non sarà necessario colorare i jeans. La pianta di tabacco resiste ai virus e il segnale della sua immunità sta nelle foglie, che di notte emanano un pallido chiarore: in questo tabacco è stato innestato il gene della sostanza che fa brillare le lucciole.

Pomodori e meloni si conservano per mesi dopo la raccolta senza marcire: un gene blocca il processo di maturazione. Soia e mais modificarli geneticamente resistono ai diserbanti. Alcune piante misurano l’inquinamento, o lo riassorbono. Altre sono fabbriche viventi di materiali plastici.

Usciamo dall’orto ed entriamo nello zoo di oggi. Qui, come le lucciole, risplendono debolmente nella notte anche i topi: hanno il gene che rende fluorescente una medusa e servono per studiare nuove armi contro il cancro. Gli scienziati favorevoli all’ingegneria genetica osservano che la “nuova mucca” produrrà latte identico a quello umano, e addio balie. Altre mucche forniranno un latte arricchito da farmaci: non se ne faranno formaggi ma medicinali altrimenti costosissimi o addirittura non realizzabili. Un maiale modificato geneticamente può fornire organi da trapiantare. Una pecora “costruita” nel laboratorio inglese dove si è clonata Dolly, può donare sangue “umanizzato”, risolvendo il problema della scarsità di plasma e del rischio di infezioni. Qualcuno storce il naso: “Modificare il mondo – sostengono i contrari all’ingegneria genetica – può significare distruggerlo”.

Una svolta preoccupante

La natura ha creato milioni di specie viventi. Ma da qualche anno l’uomo ha imparato a farle concorrenza. L’orto e lo zoo si riempiono di nuove piante e nuovi animali ottenuti innestando parti del patrimonio genetico di specie “vecchie” come fossero pezzi del Lego. È una svolta di grande peso scientifico ed economico. Ma anche preoccupante. Per questo l’Unione Europea ha deciso di stabilire norme precise a garanzia di tutti i cittadini.

Per esempio, sui cibi che contengono prodotti modificati, dovrà esserci un’etichetta che lo specifica. Questo provvedimento è soprattutto legato a guerre commerciali, in quanto il più delle volte (per esempio nel caso dell’olio di soia o di mais) non c’è nessun modo di distinguere il prodotto biotecnologico da quello naturale.

Come si fabbrica una nuova pianta o un nuovo animale? Il metodo antico, come dicevamo, è quello degli incroci. Troppo lento, sostengono alcuni ricercatori. Oggi l’uomo sa che il progetto di ogni specie è scritto nella molecola di Dna contenuta nel nucleo delle cellule. Il Dna è come un libro di istruzioni. I suoi capitoli sono i geni.

Supponiamo di voler modificare una pianta inserendo nel suo Dna i geni di qualche altro organismo. I geni da innestare vengono sparati con minuscole palline d’oro nelle cellule da modificare. Oppure sono introdotti da batteri e virus innocui, usati come cavalli di Troia per varcare la membrana cellulare e raggiungere il nucleo di Dna. Il risultato sarà un organismo nuovo che ha in sé le caratteristiche dei due organismi da cui deriva.

erba

L’erba sempre verde

In questa tecnologia gli Stai Uniti sono davanti a tutti. Il Giappone insegue. L’Europa arranca. L’Italia quasi non c’è. Eppure l’associazione che raggruppa più di cinquecento aziende biotecnologiche europee prevede per il 2005 un giro d’affari di 500.000 miliardi di lire – il doppio del bilancio dello Stato italiano – e tre milioni di nuovi posti di lavoro.

Ogni giorno escono dai laboratori americani, inglesi, giapponesi e canadesi nuove piante modificate tramite l’ingegneria genetica. Sono già pronti per la semina cicoria, colza, cotone, mais e tabacco resistenti agli erbicidi; cotone, mais.papaia e zucca resistenti a malattie e a parassiti; colza, pomodori e meloni a maturazione ritardata o con proprietà nutritive modificate.Ultima arrivata è l’erba che rimane sempre verde, anche da secca, messa a punto in un centro di ricerca ambientale del Galles.

Presto, infine, avremo il “supergrano”, un frumento transgenico già sotto sperimentazione in Canada, Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania. Così anche il pane, per la cultura italiana il più fondamentale e simbolico degli alimenti, potrebbe non essere più “quello di una volta”.

Quando poi non sono in gioco piante ma animali, le paure dell’opinione pubblica diventano più grandi.

La scrofa “Genie”

In realtà, bisogna distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo, facendo un bilancio dei costi e dei benefici. Perché rifiutare il latte modificato per produrre farmaci, il latte per neonati uguale a quello umano, il latte che contiene vaccini, le cavie transgeniche che servono a sperimentare nuove cure contro il cancro, i batteri modificati per produrre ormoni di grande importanza terapeutica?

Un esempio chiaro è quello dell’insulina, l’ormone che ci consente di assimilare gli zuccheri. I diabetici fino a pochi anni fa dovevano iniettarsi insulina tratta dal pancreas dei bovini o dei maiali, ma questa era lievemente diversa dall’insulina umana, una diversità che alla lunga comporta vari inconvenienti per il diabetico. Ormai da molti anni l’insulina viene prodotta usando batteri di “Escherichia coli” modificati, cioè programmati per sintetizzare molecole di questo ormone assolutamente identiche a quelle umane.
Altro esempio. Genie è una scrofa transgenica nata grazie al progetto di ricerca di tre studiosi americani – William Velander, Henryk Lubon e William Drohan – in collaborazione con la Croce Rossa. È bella, sana, nutre affettuosamente i suoi porcellini. Indistinguibile dalle altre scrofe. Ma il suo latte è speciale: contiene anche una sostanza, la proteina umana C, che è indispensabile per certi pazienti colpiti da anomalie della coagulazione del sangue.

Genie è il primo maiale al mondo capace di secernere una proteina umana nel latte. Gli emofilici e le vittime di ictus e infarti hanno bisogno proprio di quella proteina.

Lasciando il settore farmaceutico, la speranza di vincere il problema della fame che affligge i Paesi poveri è legata soprattutto a piante e animali più produttivi ottenuti tramite la modificazione genetica. La stessa cosa si può dire delle piante in grado di segnalare e riassorbire sostanze velenose, per esempio metalli come il piombo che, per varie vie, finiscono nell’ambiente.

Ma allora saremo sempre più dipendenti da un ambiente artificiale? Già oggi – rispondono i biotecnologi – le mucche da latte non sarebbero in grado di vivere allo stato selvaggio. L’ingegneria genetica non fa che segnare una nuova tappa lungo una strada che si perde nella preistoria. L’uomo – sostengono gli scienziati – fa biotecnologia da tempi antichissimi: pane, vino e formaggi sono biotecnologie. L’unica differenza è che oggi abbiamo mezzi molto più potenti per modificare la natura. Per questo bisogna imparare a usarli con cautela, nell’interesse di tutti.

Italiani diffidenti (ma non troppo)

Secondo il rapporto annuale del Censis, in Italia sono 241 le colture sperimentali biotech autorizzate dal ministero della Sanità. Ma gli italiani restano diffidenti e sulle potenzialità di sviluppo c’è scarsa informazione: il 48,4% non sa esprimere un’opinione sulle colture biotech. Il 42% non consumerebbe pomodori così prodotti, il 36% non sa nulla di questa materia.

Se invece eliminiamo il “tech”, le cose cambiano e di molto. Perché, come assicura un’inchiesta del quotidiano La Stampa, “l’Italia è il Paese più biologico d’Europa, con quasi 50 mila imprese agricole sulle 105 mila nell’Unione costituiscono il totale di questa attività”.

Bombardato da “mucche pazze”, “pesci al piombo”, “acque minerali al cianuro”, il pubblico è disposto a spendere parecchio denaro per mettere in tavola prodotti sicuri. La sicurezza delle colture biotech in Italia dovrebbe essere garantita da nuove organismi di controllo riconosciuti. Ma chi controlla i controllori? Di fronte alle lusinghe del mercato, è essenziale evitare truffe e scandali che farebbero crollare la fiducia verso un settore in forte crescita.

Pro e contro le biotecnologie

Non tutti sono d’accordo sull’utilità e sulla sicurezza delle biotecnologie. La maggior parte degli scienziati è ottimista. Pensa che le biotecnologie possano aiutarci a produrre nuovi farmaci e piante più redditizie per risolvere il problema della fame nel mondo. Altri, in compagnia delle associazioni ambientaliste, mettono invece l’accento sui rischi. Le più controverse sono le biotecnologie per uso alimentare. Sulle biotecnologie per un medico e per disinquinare l’accordo è maggiore.

Abbiamo provato a individuare le 11 domande più importanti sulle biotecnologie e per ognuna abbiamo dato tre risposte: quella favorevole degli scienziati A, quella contraria B e quella intermedia C di chi si preoccupa della sicurezza, ma non vuole rinunciare ai vantaggi che dalle biotecnologie possono derivare. Valutando le tre risposte ci si potrà fare un’opinione personale.

1.Le biotecnologie alterano l’equilibrio della natura?

A No. In natura avvengono continuamente mutazioni spontanee nel patrimonio genetico di batteri, piante e animali. Proprio questo è il meccanismo alla base dell’evoluzione biologica.

B Sì. Le biotecnologie introducono mutazioni genetiche ad un ritmo molto più veloce della natura e mescolano geni provenienti anche da specie molto diverse.

C In teoria è possibile. È necessario quindi di volta in volta paragonare rischi e benefici e decidere per il meglio. Nel dubbio, è meglio eccedere in prudenza.


2. Le biotecnologie mettono in pericolo la biodiversità, cioè la varietà delle piante e degli animali esistenti in natura?

A Al contrario: possono salvare molte specie altrimenti destinate all’estinzione o perché attaccate da malattie (per esempio il pomodoro San Marzano) o perché non competitive economicamente.

B Certo: le specie naturali scompariranno perché quelle geneticamente modificate renderanno di più.

C Dipende. In alcuni casi possono proteggere la biodiversità. Ma le specie più redditizie e biologicamente più forti possono finire con il prevalere.

3.Le biotecnologie possono salvare le specie in estinzione?

A Certamente: basta pensare al pomodoro San Marzano, una varietà italiana che senza biotecnologie verrebbe distrutto da una malattia.

B No, perché una pianta o un animale modificato geneticamente non è più la specie che si voleva proteggere ma una sua variante.

C Talvolta le biotecnologie sono l’unica alternativa per conservare una specie. In altri casi ci si trova di fronte a pressioni del mercato.

Biotech in breve

Farfalle: negli Stati Uniti 3.600 farfalle Ogm (primo insetto modificato in campo) sono state liberate su coltivazioni di cotone per combattere una larva nociva.

Trote: proteste in Canada per la trota geneticamente modificata: il gene della crescita, inserito nella trota selvatica la fa diventare più grossa. Ma lo stesso esperimento condotto sulla trota commerciale non ha lo stesso risultato. Anzi, provoca alterazioni che deformano il pesce.

Brevetti: oggi nel mondo i brevetti biotech sono circa 13 mila e riguardano microrganismi, piante e animali. Gli Stati Uniti sono i più attivi ad aggiudicarseli. Lo scorso luglio il nostro Ministero dell’agricoltura ha autorizzato l’estensione a 102 Paesi del Mondo di un brevetto per la produzione di meloni e pomodori senza semi, ottenuto da ricercatori italiani. Pochi giorni dopo, però, una lettera del ministero garantiva 18 milioni per pagare le spese burocratiche, a patto che il brevetto non venisse utilizzato.

Etichette: perché sulle etichette dei prodotti alimentari non c’è quasi mai segnalata la presenza di materiale transgenico? Perché l’Unione Europea ha deciso che un prodotto in commercio, per esempio una farina di mais o un biscotto a base di soia, debba riportare la dicitura “contiene Ogm” solo se ha più dell’1% del peso di materiale transgenico Se ce n’è di meno, non è obbligatorio segnalarlo.

4. Le biotecnologie possono ridurre la fame nel mondo?

A Sono l’unica strada per raggiungere questo obiettivo perché la popolazione cresce e l’agricoltura e l’allevamento devono per forza diventare più efficienti.

B No, perché gli organismi geneticamente modificati sono proprietà delle multinazionali, che come fine hanno solo il profitto.

C In alcuni casi sì. Per esempio esiste un riso modificato con vitamina A particolarmente utile per il Terzo Mondo e non è sotto brevetto.

5 I cibi transgenici possono far male?

A Non si è mai registrato alcun danno alla salute derivante da cibi transgenici. Ogni giorno, da sempre, mangiamo innumerevoli Dna di organismi diversi e soggetti a mutazioni naturali.

B Sì. Nessuno sa nel tempo quali effetti può avere l’ingestione di organismi geneticamente modificati.

C Occorre una sperimentazione prolungata. In alcuni casi potrebbe manifestarsi un’allergia, come del resto accade anche per certi cibi naturali.

6. Le biotecnologie limiteranno l’uso di pesticidi e diserbanti?

provette A Sì, perché sovente i biotecnologi fabbricano specie vegetali naturalmente resistenti, che non hanno bisogno di ulteriori armi chimiche.

B No, perché le piante resistenti modificheranno l’ambiente in modo imprevedibile e richiederanno nuovi interventi chimici.

C In parte sì. Si tratta di valutare di volta in volta il rapporto costi/benefici. Occorre, in ogni caso, una maggiore sperimentazione.

7. Le biotecnologie sono pericolose per l’ambiente?

A Al contrario aiutano a combattere gli inquinamenti, come dimostrano le piante modificate geneticamente per assorbire i metalli pesanti che inquinano il terreno o i batteri capaci di eliminare l’inquinamento da petrolio.

B Molto, in quanto spostano tutti gli equilibri delle varie nicchie ecologiche.

C Possono essere sia utili sia pericolosi. Dipende da come le si usa.

8. Le biotecnologie e coloro che le usano sono incontrollabili?

A No. Esistono norme molto severe in proposito e gli stessi scienziati seguono un codice di autoregolamentazione e di responsabilità.

B Sì, perché è praticamente impossibile far applicare le norme quando sono in gioco interessi enormi e lobby internazionali.

C Dipende dall’efficienza dei controlli e dalla maturità democratica dei popoli.

Le regole in Europa

A Strasburgo, sede del Parlamento europeo, è stata approvata la direttiva sugli Organismi geneticamente modificati (338 voti a favore, 52 contrari e 85 astensioni). Prevede:

1. L’autorizzazione agli Ogm potrà essere concessa solo per un periodo di dieci anni e dopo aver valutato non solo la pericolosità diretta del prodotto geneticamente modificato, ma anche l’impatto ambientale a lungo termine.

2. Tutte le coltivazioni di Ogm, sia sperimentali sia commerciali, dovranno essere registrate presso l’autorità pubblica.

3. Entro il 2004 gli organismi antibiotico-resistenti dovranno essere posti fuori commercio.

4. La commercializzazione di Ogm sarà sottoposta a una serie di limitazioni per rispettare le convenzioni internazionali.

5. I prodotti che contengono Ogm devono dichiararlo sull’etichetta: ogni Ogm avrà un codice di identificazione con la definizione dei prodotti derivati e la responsabilità ambientali.

Resistono alcuni contrari. Per esempio: Italia, Francia, Lussemburgo, Grecia, Danimarca e Austria sono favorevoli a mantenere la moratoria (sospensione temporanea) che blocca la registrazione di nuovi Ogm fino a quando non ci saranno regole più precise sull’etichettatura e la rintracciabilità dei prodotti con Ogm. Gran Bretagna, Olanda e Svezia sono contrarie.
Nell’attesa, che cosa fare? Un consiglio vale per tutti i cibi: mangiate ciò che offrono le stagioni e acquistate i prodotti tipici italiani.

9. Ha senso brevettare i geni, cioè, in pratica, la conoscenza della natura o nuove specie viventi prodotte tramite l’ingegneria genetica?

A Sì, le biotecnologie sono solo un nuovo aspetto della brevettabilità delle macchine o della tutela del diritto d’autore. Senza brevetti mancherebbe l’incentivo alla ricerca.

B No, i meccanismi della vita e la conoscenza che ce ne procuriamo sono patrimonio dell’intera umanità, come un teorema o la legge di gravità.

C In qualche caso, quando non si tratta di brevettare una conoscenza pura ma una specifica applicazione che richiede investimenti per il suo sviluppo.

10. Deve essere vietato – come è oggi – manipolare cellule germinali?

A No. La ricerca deve essere libera.

biotech B Sì, perché le modifiche si trasmettono a tutta la discendenza e non possiamo prendere decisioni per le generazioni che verranno.

C Solo in casi eccezionali, di fronte a un vantaggio certo, collettivo e individuale, si potrebbe ammettere la manipolazione delle cellule germinali.

11. Deve essere vietata la clonazione umana?

A No: due persone non saranno mai identiche perché l’ambiente conta almeno quanto la genetica.

B Assolutamente sì. Altrimenti si viola l’unicità della persona, che è un valore fondamentale per l’individuo e per la società

C Sì, per non intaccare l’identità e la natura della persona. La clonazione potrebbe avere effetti imprevedibili per usi di laboratorio e magari creare mostri. E ancora: la procreazione non sarebbe più frutto di un gesto d’amore, ma un prodotto di laboratorio.

Per combattere il cancro

L’aprile 2002 segna una data storica per la biotecnologie: in questo mese è stata pubblicata la mappa completa dei geni del riso, la pianta più importante per la vita dell’uomo. Basta pensare che oltre due miliardi di persone morirebbero di fame senza riso.

Già da più di un anno, invece, si conosce la mappa genetica di un’altra pianta, chiamata Arabidopsis thaliana

Il fatto singolare è che l’Arabidopsis thaliana non ha nessuna utilità economica: è un’erbaccia dai fiorellini insignificanti, che cresce spesso ai bordi delle strade e invade i terreni un po’ come gramigna.

Perché allora investire tanti soldi e lavoro nella mappatura del suo patrimonio genetico? Semplice: perché i cinque geni di questa pianticella sono un po’ il modello-base del genoma di una grande quantità di piante utili. Si può quindi usare il genoma della Arabidopsis thaliana come un magnifico laboratorio per creare specie di piante più produttive e resistenti ai parassiti in quanto modificate con interventi di ingegneria genetica.
 
I progressi della ricerca scientifica nel campo delle biotecnologie sono continui. Nel solo mese di marzo 2002 sono stati messi a punto per via biotech un esame del sangue che permette di scoprire in anticipo il cancro del polmone e un test rapido per identificare l’intolleranza al glutine (e quindi quella malattia chiamata “celiachia”). Inoltre si è scoperto un gene che potrebbe aiutare a sconfiggere la leucemia ed è stato decifrato il genoma di un virus che danneggia le fragole, primo passo per difendere questi frutti dal suo attacco.

Tu che ne pensi

• “Non credi che occorra mettere i giusti paletti alla scienza per impedirle di ubriacarsi di se stessa sino al punto di produrre degli esseri di sua invenzione?

• Eminenti genetisti (David Szuki, Jonathan King, Richard Lacey) chiedono di sospendere per 5 anni brevettabilità e rilascio nell’ambiente di piante e “organismi geneticamente modificati”, visto che i topi alimentati con Ogm presentano anomalie genetiche. Non è meglio vederci chiaro, prima di farci imbottire di Ogm?

• Ecco alcune domande che possono aiutarti a pensare: in base a quali criteri vengono distribuiti i fondi per le ricerche scientifiche? Come vengono stabilite le priorità degli investimenti? In che modo il pubblico viene informato su benefici e rischi delle biotecniche? D’accordo, gli scienziati non sono Frankenstein, ma chi ci garantisce che un ricercatore possa intraprendere la strada sbagliata?

• E ancora: le applicazioni di organismi geneticamente modificati in agricoltura sono davvero indispensabili? Sono l’unico modo per risolvere il problema dell’alimentazione su scala mondiale? Non basterebbe distribuire meglio le risorse e portare la tecnologia, la meccanizzazione, i fertilizzanti sicuri dove sono necessarie? Qual è il tuo parere?

© Piero BIANUCCI • mondoerre


Versione per stampa
Nilus
Nilus
©AGOSTINO LONGO
Nilus


Gli amici di MondoerreGli Amici di Mondoerre

  

Gli amici di Mondoerre

01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 www.scuola.elledici.org www.igiochidielio.it BimboBell www.oratoriosing.it/ www.associazionemeter.it www.tremendaonline.com www.dimensioni.org www.esemalta.com www.noivicenza.it www.davide.it 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10