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Attenti a quei due

I fuoriclasse del futuro? Risposta scontata: Alexandre Rodrigues da Silva detto "Pato", e Mario Balotelli detto "Supermario". Talmente vicino, il loro futuro, da essere quasi un tutt’uno con il tempo presente. Diciotto anni Pato, diciassette Balotelli.
 
L’età verdissima non ha rappresentato un limite: hanno giocato entrambi, nella stagione d’esordio in campionato, con la disinvoltura dei veterani. Il che, in un calcio diventato ultimamente troppo avaro di talenti veri, rappresenta una prova inconfutabile di classe. E rappresenta anche il segno che la maturazione di un calciatore, quando le qualità tecniche sono speciali, non tiene conto in alcun modo dell’anagrafe.
 

Obiettivo: la Nazionale italiana

Sono due persone speciali anche i genitori affidatari di "Supermario" Balotelli. Ma proprio perché sono speciali, avendo cura di un figlio altrettanto speciale, stanno facendo di tutto per trasformarlo in un ragazzo normale. Anzi, meglio: normalissimo. Ci riusciranno? Non è un’impresa facile. Perché Supermario, protagonista di uno straordinario finale di campionato con la maglia dell’Inter scudettata, vive ogni minuto della sua giornata come se avesse l’argento vivo addosso.
 
Spregiudicato, strafottente, insofferente di ogni gerarchia. Capace di giocate e balotellicolpi di testa straordinari in campo, quando può far valere la propria potenza atletica, ma di altrettanti (e incontrollabili) colpi di testa nella vita di tutti i giorni, quando lo prendono i famosi cinque minuti. "Mario è buono, leale, generoso – assicura mamma Silvia - soltanto un po’ troppo vivace. Il problema è quello di mettergli le briglie. Prima o poi ci riusciremo".
 
È speciale anche la storia di "Supermario". Nato a Palermo da genitori ghanesi, passò i primi due anni dentro e fuori dall’ospedale e si trasferì poi a Brescia dove il padre, operaio in una fabbrica ma impegnato in pesanti turni di lavoro, lo affidò ai servizi sociali. Nel 1992 l’incontro con Silvia e Franco Balotelli, due coniugi che avevano scelto di impegnarsi nel volontariato.
 
È mamma Silvia, infermiera professionale al Gaslini di Genova e al Niguarda di Milano prima di dedicarsi totalmente alla famiglia, a raccontare che cosa accadde quando un assistente sociale chiese loro di vedere questo bambino di colore che a due anni era una specie di Pierino la Peste: "Avevamo già tre figli nostri e tre figli in affido, ma con Mario fu amore a prima vista. Mio marito aveva portato con sé un’automobilina per farlo giocare. Mario lo prese per mano e gli disse: "Amigo, andiamo".
 
Da quel giorno è stato come se in casa nostra fosse entrato un terremoto. Scalava mobili e credenze, dovevamo farlo correre ogni mattina, estate e inverno, attorno all’edificio. Si arrampicava su un alberello di fonte a casa e dovevamo fare una fatica terribile per tirarlo giù".
 
Il calcio, ovviamente, Mario ce l’aveva nel sangue. Al punto da bruciare le tappe. Prima le squadre parrocchiali, il San Bartolomeo tra tutte, poi il Mompiano e il Lumezzane, che lo fece debuttare in C/1, con una deroga, a 15 anni soltanto. Ma c’era l’Inter in agguato, dopo un paio di provini senza esito con il Barcellona e la Fiorentina.
 
"Mi trasferii a Milano – racconta Mario - per giocare con gli Allievi ma mi volle subito la Primavera. Il resto è venuto da sé: il debutto in prima squadra, i gol, le tante soddisfazioni. C’è soltanto un piccolo problema con gli studi. Fino alla terza media ho fatto benissimo, poi non è stato facile coniugare calcio e studi. Mi sono iscritto all’Istituto tecnico commerciale, spero di recuperare studiando privatamente".
 
Ha un carattere, Mario, che lo aiuta: non avverte la pressione. Mai. "Giocare a calcio è ciò che amo. Perché dovrei tremare? Sto facendo una vita bellissima, l’Inter è da sempre la mia squadra preferita. Ho soltanto due sogni da realizzare: avere un cane, anche se poi non saprei a chi lasciarlo quando vado in trasferta, e giocare con la Nazionale italiana. Prima però devo compiere i 18 anni, per avere la cittadinanza. Ho rifiutato l’offerta della Nazionale ghanese: non sono mai stato in Africa, che senso avrebbe giocare con quella maglia?".
 

Ha scalzato Pelè

Per un Balotelli sulla rampa di lancio, un Pato che ha invece già toccato i vertici della popolarità. Soprattutto dopo il debutto nella Nazionale brasiliana. È accaduto il 6 febbraio a Dublino, contro l’Irlanda. Una prestazione, la sua, che ha esaltato Carlos Dunga, il tecnico carioca: "Pato ha un grande talento e ha anche il carattere giusto per arrivare lontano. Trovo che abbia le stesse qualità di Ronaldo, anche se è decisamente più timido. Deve avere una certa libertà di manovra per rendere al massimo, ma è in un grande club: il Milan lo aiuterà a crescere".
 
È proprio il paragone con Ronaldo a inorgoglire Pato: "Ronie mi ha fatto amare il calcio – dice - perché ha acceso la mia fantasia di bambino. Il mio sogno nel cassetto? Partecipare alle Olimpiadi di Pechino e magari vincerle!".
 
patoL’altro mito di Pato si chiama Kakà. I due si somigliano: stessa serenità, stesso modo intenso di vivere le emozioni, stesso legame con la famiglia. "I miei genitori - confida - sono la mia arma vincente. La loro presenza mi tranquillizza, sono due persone speciali, mi hanno insegnato ad affrontare le cose di vita con molta semplicità".
 
C’è anche una ragazza, nella vita di Pato. Si chiama Stefany Brito, è brasiliana, una presenza discreta lontana mille miglia dall’immagine delle tante veline che infittiscono il mondo dei calciatori di successo. "Siamo fidanzati ufficialmente – dice Pato - ma è troppo presto per parlare di matrimonio. I cuoricini che disegno con le dita dopo ogni gol sono dedicati a lei".
 
Molti critici, quando il Milan annunciò l’acquisto di Pato, non erano del tutto convinti del valore di questo ragazzo. I fatti, e soprattutto i 9 gol segnati in campionato in soli quattro mesi, hanno finito per smentirli. A garantire il Milan, poi, l’escalation di Pato, che in due stagioni soltanto ha bruciato le tappe senza concedersi una sola battuta a vuoto.
 
Il top della carriera? La conquista del titolo mondiale di club con l’Internacional di Porto Alegre nel dicembre del 2006 a Tokyo. Grazie al gol segnato in semifinale a 17 anni e 102 giorni, Pato è diventato il più giovane marcatore nella storia della competizione detronizzando una leggenda del calcio: Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè.
©Mondo Erre - Adalberto Scemma
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