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con CARLO CONTI

Ma i brufoli se ne vanno Ho 13 anni e sono disperata perché non riesco a liberarmi dell’acne che mi devasta la faccia. Ho provato di tutto. Ma niente da fare. Non ho più il coraggio di specchiarmi: faccio schifo. Forse smetterò anche di andare a scuola, per non farmi vedere da nessuno… Carmen, Como Cara Carmen, il mio amico Alfonso, che è un medico apprezzato, mi spiega che l’acne è una banale infiammazione per la quale soffrono il 50% dei ragazzi europei dai 13 ai 17 anni. Ma dopo i vent’anni la percentuale scende al 18% e dopo i 40 scompare quasi del tutto. I brufoli se ne vanno, dunque. Già, ma nel frattempo? Cambia dermatologo. Sempre Alfonso mi segnala che all’Istituto San Gallicano di Roma (tel. 06-52662727) hanno inaugurato un centro interamente dedicato all’acne. Lo scopo, ovviamente, è quello di offrire ai pazienti le soluzioni più efficaci. In quanto alla scuola, la tua idea mi sembra insensata: non vorrai mica trovarti fra qualche anno con la pelle liscia e il cervello vuoto? Auguri. Fabbriche di illusioni Che cosa vorresti fare da grande? Alla solita domanda, posta questa volta dalla “Società Italiana di Pediatria”, 1.200 ragazzi tra gli 11 e i 14 anni di nove regioni italiane hanno risposto esattamente com’è prevedibile che risponda chi cresce sotto il segno della vita in diretta tv: la maggioranza sogna un futuro di applausi, su un campo di calcio o sotto i riflettori dello spettacolo. Insomma, il top è diventare calciatori o veline. Allora non deve meravigliare se stanno proliferando i “corsi professionali” per veline e se le cosiddette “scuole di calcio” in Italia sono 6.730. Le frequentano oltre 450 mila ragazzi. Il costo medio d’iscrizione oscilla tra i 220 e i 600 euro. Un giro d’affari che sfiora i 150 milioni di euro l’anno. Anche se soltanto un ragazzo su 16 mila arriva al professionismo. Non molto diversa credo sia la percentuale che riguarda le aspiranti veline. Almeno bisognerebbe rispettare la “Carta dei diritti” che alcune scuole consegnano ai genitori: il diritto dei ragazzi di divertirsi e giocare, il diritto di allenarsi secondo i propri ritmi e il diritto di non essere un campione. Parolacce in tv ogni 21 minuti L’accusa è sempre quella: i ragazzi dicono parolacce. È vero, ma da chi le imparano se non dagli adulti? Secondo una ricerca di Eta Meta Research ogni 21 minuti in tv viene pronunciata un’espressione volgare. Se i conti sono esatti, mi sembra davvero troppo. Anche se il linguaggio è cambiato e lo “sciocchino” di un tempo è diventato qualcosa di meno simpatico, ma con lo stesso significato. La lingua italiana è in credito con la televisione: saremmo ancora divisi dai dialetti senza la “scatola magica”. Ora, però, la tv corre il rischio di legittimare la volgarità del linguaggio. E la parolaccia purtroppo talvolta fa audience e segnala una fastidiosa incapacità di comunicare. L’impressione è che si ricorra alla volgarità anche perché non si conoscono altre parole più adeguate. Studenti bocciati Il progetto pilota, che doveva valutare l’efficacia dell’insegnamento nella scuola pubblica italiana, ha messo in luce due clamorose bocciature: in italiano e matematica. Il test ha riguardato 7.630 istituti, circa la metà di quelli esistenti. Sono stati esaminati 1.033.345 studenti di quarta elementare, prima media, primo e terzo anno di secondaria superiore. Nelle elementari siamo sulla sufficienza, alle medie scendiamo un po’ sotto. Alle superiori il livello cala ancora. L’insufficienza diventa particolarmente grave (le risposte esatte oscillano tra il 38 e il 29 per cento) negli istituti professionali. Le difficoltà maggiori riguardano la grammatica, l’analisi logica, la comprensione dei testi informativi e la geometria. Stabilita la diagnosi, quale terapia sarà adottata? “Mamma, ti prego smetti di fumare” L'Istituto superiore di sanità” ha commissionato alla “Doxa” un sondaggio sull’efficacia delle scritte sui pacchetti di sigarette che avvertono “il fumo uccide”, “danneggia gravemente la salute tua e di chi ti sta vicino”, “invecchia la pelle”, eccetera. Sorprendente, le scritte funzionano. Nel senso che spaventano i bambini, i quali spingono i genitori a rinunciare al vizio. Di solito la frase è: “Se continui a fumare vuol dire che non mi vuoi bene”. Un piccolo ricatto che è anche un gesto d’amore.
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©AGOSTINO LONGO
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