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TONI E FULMINI

Ha scelto il numero “30” nel ricordo dei trenta gol messi a segno in serie B con la maglia del Palermo. E quei gol hanno cambiato il corso della carriera di Luca Toni, il bomber principe delle ultime stagioni. Nessuno, tra i cadetti, aveva mai segnato tanto. E così quel “30” – concessione alla scaramanzia - era subito diventato l’emblema della svolta. Una svolta che ha portato Luca dritto in Nazionale e che ha fatto di lui un protagonista certo del prossimo campionato del mondo.
“Se qualcuno, soltanto due anni fa, mi avesse predetto tutto questo – confida Luca - gli avrei consigliato di bere meno. E invece la realtà ha superato la fantasia: venti gol con il Palermo anche in serie A e adesso questa straordinaria stagione con la Fiorentina. Il gol più bello? Quello numero 27 segnato alla Juventus, un gol che mi ha permesso di superare Hamrin e Batistuta e di diventare il migliore cannoniere viola di sempre”.

Un obiettivo alla volta
I miracoli, nel calcio, non sono mai veramente tali, non sono cioè frutto dell’imprevisto. Nel caso di Toni, che al successo è arrivato in un’età, 29 anni, in cui la stella di un calciatore comincia solitamente a declinare, bisogna tenere conto di una carriera vissuta in gioventù con un certo disincanto oppure, più realisticamente, senza eccessiva convinzione.
Troppe stagioni spese sui campi della serie C (Empoli, Fiorenzuola, Lodigiani…) e un approdo al calcio d’élite con la maglia di squadre di provincia (il Treviso, il Vicenza e il Brescia prima di salire di grado a Palermo prima e a Firenze poi). Limiti caratteriali o errori di valutazione da parte dei tecnici? Sono valide entrambe le ipotesi. Perché se è vero che Luca è sempre stato il primo, sbagliando, a non prendersi troppo sul serio, è altrettanto vero che ci sono stati allenatori così ciechi da non riuscire a guardare, valutandolo, al di là del proprio naso.
Un esempio? Quando giocava nel Fiorenzuola, piccola realtà calcistica in provincia di Piacenza, l’allenatore Cavasin lo relegava quasi stabilmente tra le riserve. E fu soltanto per merito di un tecnico che di attaccanti se ne intendeva, il grande “Bonimba” Boninsegna, a offrirgli una chance importante con la maglia (azzurra) della Under 21 di serie C. Carriera da piccoli passi, quella di Luca Toni. Finché a Brescia, dopo un primo campionato di A nel Vicenza di Reja, non gli capitò di incontrare il “mito”, cioè Roberto Baggio.
“Quando l’ho conosciuto – confida Luca - mi sono emozionato come un bambino. Mi faceva un effetto incredibile l’idea di giocare al suo fianco. Quell’emozione continua ancora oggi, nel ricordo: Roby è davvero speciale, sia come giocatore che come uomo. Il suo esempio è stato fondamentale, mi ha arricchito, mi ha fatto capire che nel calcio, come nella vita, non c’è nulla di veramente impossibile da raggiungere. Con Baggio, insomma, ho imparato il vero significato del “più in là”. È sbagliato porsi dei limiti, meglio piuttosto porsi degli obiettivi. Una alla volta, però…”.

“Ero un ragazzo grassoccio”
Nel caso di Luca Toni i primi obiettivi si sono precisati nelle squadre giovanili del Modena, quando ad allenarlo era il brasiliano Cinesinho, un autentico maestro di calcio. “Avevo 13 anni – ricorda Luca - ed ero diversissimo, fisicamente, rispetto ad oggi. Ero un ragazzino grassoccio, piuttosto goffo nei movimenti, assolutamente negato nel gioco di testa. Cinesinho si era accorto che quando saltavo per colpire la palla, chiudevo gli occhi! Riuscì a correggere l’errore ordinandomi di chiuderli tutte le volte che… entravo in area. Scontato il risultato, gliene sono ancora oggi riconoscente”.
Stagioni anonime in serie C. A ripensarci, non sembra neppure vero. “Quando non giochi e passi le domeniche in panchina o in tribuna – ricorda Luca - il minimo che ti possa capitare è di deprimersi. Mi ero quasi convinto che il calcio non fosse la mia strada. È stata Marta, la mia ragazza, a farmi cambiare idea. Lei mi ha dato serenità e stabilità, mi ha aiutato a maturare. Siamo fidanzati da nove anni, siamo cresciuti insieme, ci sposeremo, certo. E vogliamo anche dei bambini. Come l’ho conosciuta? A Firenze in un locale, quando giocavo nel Fiorenzuola. Lei ha aperto di colpo la porta del guardaroba e per poco non mi ha steso. Sono convinto che l’abbia fatto apposta”.
Marta Cecchetto, fiorentina, fotomodella, ha vissuto un momento di grande popolarità all’ultimo festival di Sanremo, era una delle quattro vallette di Panariello. Ma è subito tornata nell’ombra, fedele a quell’immagine di riservatezza che a suo tempo (insieme con la bellezza, ma è ovvio) aveva conquistato Luca. “Siamo due tipi che si somigliano – confida Luca - proprio perché crediamo entrambi in certi valori. Siamo tranquilli, non ci siamo mai montati la testa. Una cosa che il successo mi ha fatto capire? Più sali in alto e più incontri persone che la pensano allo stesso modo, persone che hanno fatto della semplicità uno stile di vita. I “furbi”, quelli che se la tirano, li incontri ai primi livelli, poi spariscono perché alla distanza non sono in grado di reggere”.
La serie A raggiunta con il Vicenza soltanto a 23 anni suonati. Di chi la colpa di tutti questi anni persi per strada? “Se arrivi tardi – ammette Luca - la colpa è quasi sempre tua. Ma non è sempre e soltanto una questione di carattere, a volte capita semplicemente di non essere ancora pronti. Le cose bisogna guadagnarsele. Quando si arriva, però, il problema vero è quello di rimanere in vetta. Ed è qui che comincia il difficile, è qui che se non hai qualità autentiche, sia tecniche che morali, rischi di precipitare”.
La passione per il calcio non ha impedito a Luca Toni di chiudere nel cassetto un diploma, quello di ragioniere. “Ma ho sempre studiato di malavoglia – confessa - come la maggior parte dei ragazzi che hanno fatto dello sport una professione. Più avanti invece ho capito l’importanza della cultura, oggi cerco di tenermi informato, di leggere, di guardare in tv qualche programma impegnato ma senza esagerare. I giornali sportivi? Faccio il contrario di ciò che uno immagina: quando le cose vanno bene non li leggo, quando girano storte li divoro. Mio padre invece raccoglie tutti gli articoli che parlano di me, ha messo insieme una bella collezione”.
I momenti di relax vissuti fuori dal calcio? “Né io né Marta amiamo la mondanità, preferiamo rimanere in casa, anche perché facciamo una vita di lavoro piuttosto movimentata. Amo molto la musica, adoro Vasco Rossi, gioco con la play-station, faccio insomma le cose che fanno un po’ tutti i ragazzi. Un mio difetto? Ne ho tanti. Sono disordinato, soprattutto in casa. Sono pigro, lascio che a occuparsi di tutto, dalla spesa alla cucina, ai mestieri domestici sia Marta. In compenso mi ritengo una persona educata, ho la fortuna di avere genitori speciali, ai quali sono molto legato. Sono legato anche alla mia terra, a dire il vero. Ho comprato casa in campagna, vicino a Modena e ai miei. È lì che andrò a vivere quando chiuderò con il calcio”.
ADALBERTO SCEMMA
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©AGOSTINO LONGO
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