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... A FERRO E FUOCO

È un tour che promette meraviglie quello che Tiziano Ferro si appresta a intraprendere tra pochi giorni. Uno spettacolo, almeno per lui, mai così ricco e completo come questa volta: schermi mobili, effetti speciali, movimenti coreografici, scenografia elegante, filmati sullo sfondo del palco. Tutto serve per avvolgere le canzoni del suo ultimo convincente album, “Nessuno è solo”, che sta tenendo il passo, sul piano delle vendite, dei due precedenti dischi, “Rosso relativo” e “Centoundici”, tre milioni di copie vendute insieme in tutto il mondo.
Si spiega con questa cifra il «salto di qualità» nell’imbastire uno show di grosse proporzioni da parte di Tiziano, diventato ormai una stella di prima grandezza non solo in Italia ma anche all’estero. Una bella soddisfazione per il ragazzo che tanti anni fa aveva incominciato ad allenare la voce nel coro di gospel di Latina, la cittadina romana dov’è nato, e intanto sognava di scalare un giorno le classifiche. Obiettivo oggi centrato, forse al di là delle più rosee previsioni, ma ottenuto dopo molti sacrifici, tante porte sbattute in faccia e un lungo «apprendistato» come corista per altri artisti. Adesso tocca a lui stare in prima fila sotto i riflettori di uno show importante. L’ennesima scommessa che Tiziano può solo vincere.

L’INTERVISTA

DOMANDA:Com’è stato concepito lo spettacolo?
RISPOSTA: È davvero difficile condensare in poche parole tutte le idee concentrate sul palco. Ci saranno alcuni schermi mobili invisibili all’occhio in cui verranno proiettate immagini che interagiranno con me, momenti di danza, effetti luce particolari… D’altra parte, ho voluto dare a ogni canzone una sua «ambientazione», senza per questo esagerare. L’intenzione è di fare un concerto appagante visivamente, elegante, originale e sobrio, e di portare uno spettacolo dal respiro quasi teatrale in spazi più ampi.

D. Uno show così pensato non rischia di imbrigliarti, facendoti perdere in spontaneità?

R. È un pericolo che ho subito cercato di scongiurare. Lo spettacolo segue, per certi versi, una sua… «trama» e tempistica, ma non sarà freddo. Tutto è pensato perché sia coerente con il mio carattere e con quanto ho voluto raccontare con la mia musica. Al centro, quindi, rimangono le canzoni e la loro capacità di comunicare emozioni.

D. Come sarà composta la scaletta?

R. Eseguirò tutte i brani di “Nessuno è solo”, più un’ampia selezione tratta dagli altri due album. Mi è sempre difficile escludere qualche canzone perché sono affezionato ad ognuna di esse. D’altronde, durante la carriera, ho avuto una grande fortuna: non ho mai incontrato qualcuno che mi abbia impedito di incidere un pezzo come volevo. Di solito, agli esordi, c’è il discografico o il produttore che cercano di indirizzare le tue scelte, invece a me è andate bene.

D. C’è una canzone, tra quelle che hai scritto, a cui sei più affezionato?

R. “Il bimbo dentro”, che chiude il primo album e non ho mai smesso di fare. È anche l’unica che ho cantato in italiano durante lo scorso tour in America Latina perché è troppo significativa per me. Anche se il brano è stato scritto anni fa, è la fedele fotografia di ciò che sono io ancora oggi. E quando me lo dimentico, quel pezzo mi rinfresca la memoria. La canzone non è mai uscita su singolo, ma dalle e-mail e dalle lettere dei fans, è molto apprezzata.

«SONO LA VOCE DEI RAGAZZI»

D. Ti piace esibirti dal vivo?
R. I concerti sono il motivo principale che mi spingono a credere in ciò che faccio con passione. Il più delle volte, al di là dei numeri delle vendite, non hai mai la percezione del tuo gradimento e solo l’esibizione te ne dà una conferma palpabile.

D. Sei molto seguito dai ragazzi. Senti della responsabilità nei loro confronti?

R. Certo, è la responsabilità di dire sinceramente con le canzoni quello che tanti ragazzi vivono e pensano tutti i giorni e hanno timore di confessare. Per esempio, capita a tutti di stare male, di passare attraverso i processi dolorosi della vita; sovente ho incontrato ragazzi che mi hanno ringraziato per aver gridato nei brani, al loro posto, ciò che non riuscivano ad esprimere. E li invito a reagire, a non aver paura ad affrontare i problemi della vita perché poi tornerà il sereno.

D. Nell’ambiente discografico non è facile essere sinceri. Come ci sei riuscito?

R. Ho avuto una grande fortuna, come accennavo prima: nessuno mi ha mai chiesto, fin dagli inizi, di cambiare il mio modo di esprimermi. Quello che nasce sul foglio del quaderno di casa mia rimane sostanzialmente inalterato. È importantissimo, perché i ragazzi, comunque sia, la spontaneità la percepiscono.

D. Da circa un anno ti sei trasferito a Londra. Perché?

R. Ho bisogno di stare con me stesso in un luogo diverso da quello dove di solito lavoro, e non solo per staccare la spina. Mi serve anche per riuscire a scrivere quei pensieri in cui mi rispecchio e che qui, per vari motivi e impegni, non riuscirei a esprimere. È comunque importante assaporare la vita di tutti i giorni in un posto in cui non sei conosciuto, ti aiuta anche a rimanere con i piedi per terra.

D. In che senso?

R. È facile ubriacarsi di successo. Invece, per me, il fatto di essermi dovuto misurare con altri mercati, oltre quello italiano, è stato fondamentale. All’estero, ogni volta ho dovuto ricominciare da zero, e sono stato trattato come qualsiasi altro esordiente. Talvolta è andata bene, altre male. Non conta nulla che in Italia tu sia una star. Ti rimetti, insomma, sempre in gioco. Allora, quando ritorni qui, apprezzi di più quanto raccolto e fai attenzione a non rovinarlo con la presunzione o comportandoti in modo stravagante.

CLAUDIO FACCHETTI

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©AGOSTINO LONGO
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