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DECLASSATI E PERSEGUITATI

Fine d’anno …con “fuochi d’artificio” contro i cristiani in terra d’Africa. Erano del colore rosso sangue del vescovo irlandese Michael Courtney, inviato in Burundi a nome del Vaticano e del prete tedesco Anton Probst, missionario in Camerun. Sono gli ultimi due nella lista dei 29 cristiani uccisi nel 2003. Pochi mesi prima in Somalia era stata eliminata l’italiana Annalena Tonelli. Non tutti pagano così cara la loro fede in Cristo. Ma non per questo la persecuzione nei loro confronti è meno violenta. Milioni di persone vengono eliminate lentamente dai governi e gruppi integralisti. Poco alla volta si vedono tagliati fuori dall’accesso ai più elementari diritti civili e umani e declassati nel settore di cittadini di serie B. Non hanno più diritto di voto, non possono frequentare le scuole pubbliche, non godono del servizio sanitario e niente pensione. Il successivo passaggio è quello delle minacce che li costringono a vivere da clandestini, come nelle antiche catacombe romane, per finire torturati e uccisi. Unico capo d’accusa: essere cristiani. Secondo la World Christian Encyclopedia, il numero dei cristiani perseguitati corrisponde a quello degli abitanti degli Stati Uniti: circa 250 milioni. Molti di più sono gli individui a cui è proibito dalla legge di pregare il proprio Dio: 400 milioni, diffusi in più di sessanta nazioni. Dall’Africa all’America Latina, dal Medio Oriente all’Asia. In Egitto, ad esempio, un cristiano viene considerato kafer, cioè “infedele”. Per questo motivo non possono ricoprire alte cariche dello Stato riservate, per Costituzione, ai soli musulmani. “La religione islamica è il fondamento della legislazione egiziana – spiega in un’intervista l’egiziano Youssef Sidhom, direttore del periodico cristiano Watani - . La discriminazione dei cristiani è davvero forte”. Non è facile neppure costruire una Chiesa. Una fitta rete di regole severissime ne impedisce l’edificazione su un terreno agricolo, oppure in una zona con monumenti; non vicino ad una moschea e senza il benestare dei musulmani della zona, il permesso della polizia e l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. Neppure si trattasse di una centrale nucleare. Lo stesso divieto è in vigore in Arabia Saudita, dove il wahabbismo (HELP) vieta qualsiasi luogo di culto. Questo stesso Paese che spende miliardi di petrodollari per finanziare le moschee di tutto il mondo, dentro i propri confini condanna qualsiasi simbolo cristiano ed impedisce ogni tipo di celebrazione. Compresa quella del Natale: un’attenta polizia religiosa sequestra tutto ciò che ricorda la nascita di Gesù e cancella perfino le scritte inglesi che augurano Merry Christmas nei supermercati. “Chiusi per minacce” L’Arabia, però, non è la nazione in cui i cristiani se la passano peggio. In Honduras, nel cuore dell’America Centrale, le chiese della regione orientale di Olancho sono state “chiuse” dal vescovo Mauro Muldoon per paura di attentati. “I nostri sacerdoti – afferma – sono costretti a muoversi scortati dalla polizia per colpa di individui senza scrupoli. Fino a quando questa fase di crisi, persecuzione e confusione non sarà terminata, restano sospese le attività delle parrocchie”. Questa clamorosa decisione è maturata dopo la drammatica escalation del conflitto tra le imprese minerarie e del legno, che ogni anno abbattono centinaia di chilometri di foresta, e gli ambientalisti che insieme ai religiosi si oppongono alla distruzione di uno dei polmoni verdi della Terra. Una “battaglia” che negli ultimi tre anni è costata la vita a dieci sacerdoti. L’elenco dei martiri sarebbe stato ancora più lungo se nella scorsa estate padre Andrés Tamayo, parroco della cittadina di Salamà, non fosse sfuggito all’ennesimo attentato. È la quinta volta che cercano di eliminarlo da quando ha iniziato ad organizzare marce, digiuni e blocchi stradali per denunciare il taglio scriteriato dei boschi. Continuerà a difendere l’ambiente, nonostante la scoperta, fatta dalla polizia, di una taglia di 40 mila dollari stanziata da alcuni industriali corrotti per ridurlo al silenzio per sempre. Un enorme genocidio Se in Honduras i cristiani vengono perseguitati per il loro impegno ambientalista, in altre parti del mondo vengono eliminati a motivo della loro fede. Il giornalista Antonio Socci ha “contato” i battezzati uccisi, nel secolo ventesimo, dai fanatici di altre religioni: 45 milioni. Una cifra spaventosa. La media annuale, nella seconda metà del Novecento, è stata di 278 mila, e in questo momento si aggira sulle 160 mila vittime all’anno. Una delle pagine più tristi del martirologio (il libro che raccoglie nomi e storie di cristiani uccisi per la fede) è stata scritta in Sudan. In questo tormentato Paese africano, il regime islamico ha sterminato in trent’anni 4 milioni di cristiani, la popolazione attuale del Piemonte. Altri milioni di persone rischiano di morire di fame perché non sono musulmani. In Asia la furia anticristiana ha colpito a morte 600 missionari. In Pakistan la legge musulmana punisce con la morte tutti gli “infedeli”, tra cui i cristiani. Nelle Filippine, i guerriglieri di Abu Sayyaf, finanziati da Bin Laden, tengono sotto sequestro decine di cristiani. In Bangladesh sono state martirizzate più di 2.000 persone. Nell’elenco dei Paesi “vietati” agli amici di Cristo compare anche l’Iraq. Con l’arrivo degli americani è risorto l’estremismo dei musulmani sciiti. “La popolazione civile – precisa monsignor Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad – identifica i cristiani con gli americani. I preti hanno paura a lasciare le proprie abitazioni perché saccheggi ed assassinii sono eventi quotidiani”. Questo sommario e veloce giro del mondo fa tappa, a sorpresa, anche in Italia. Anche nel nostro Paese, tradizionalmente cattolico, i cristiani sono perseguitati. Il giornalista Luigi Accattoli ha raccolto in un libro, Nuovi martiri, 393 storie di persone che, nel mondo, hanno sacrificato la vita negli ultimi 100 anni. Tra questi ci sono ragazze innocenti, come Maria Goretti, e preti anti-mafia, come don Puglisi. Nomi famosi tra decine di altri meno conosciuti. Hanno tutti un comune denominatore: la fedeltà a una Persona, Cristo tradotta nel servizio e nell’amore per i fratelli. Uno di questi si chiamava Giuseppe Diana, 36 anni. Allegro e timido si era opposto ai signori della camorra. Conosceva i rischi a cui andava incontro e lo diceva: “Io paura ne ho, ma se muoio, voglio meritarmi un posto in paradiso”. Fu ucciso il 19 marzo 1994, mentre si avviava a celebrare la messa. I suoi amici, il giorno dell’addio, lo hanno salutato con questo messaggio scritto sulla facciata della chiesa: “Non c’è bisogno di essere eroi. Basta ritrovare il coraggio di avere paura, di fare delle scelte, di denunciare”. Ed è quanto, in molte zone del mondo, stanno facendo milioni di uomini e donne di buona volontà. CHIARA GALAVOTTI
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