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VOCE DI FERRO, CUORE DI CARTONE

Lo avevamo lasciato due anni fa sul palco del teatro Ariston, “bombardato” dai flash dei fotografi. Tra le mani stringeva il trofeo per aver vinto il Festival di Sanremo con “Angelo” e si preparava a partire in tour per promuovere “Camere con vista”, uscito pochi mesi prima.
Un punto di arrivo prestigioso per Francesco Renga, catalogato giustamente tra le voci più potenti ed espressive del panorama nostrano. Un traguardo arrivato dopo tanti anni di carriera, parte dei quali trascorsi come cantante dei Timoria, uno dei gruppi rock più interessanti della nostra penisola. Poi, nel 1998, la frattura e la scelta di proseguire per proprio conto.
È un passaggio delicato per Francesco: deve ricominciare da capo e trovare una propria strada. La scopre percorrendo le vie di un pop-rock che mette a punto nel giro di due album e rivela in tutto il suo potenziale con il secondo, “Tracce”, che lo fa salire in alto nelle classifiche. Poi arriva la consacrazione con “Camere con vista”, oltre 200.000 copie vendute, e l’exploit di Sanremo.
Ora, dopo due anni di silenzio, Francesco ha deciso di fare le cose in grande e… raddoppia. Nel senso che accanto al nuovo album, “Ferro e cartone”, ha fatto uscire il libro “Come mi viene”, “estensione” letteraria delle undici ottime canzoni racchiuse nel disco.

L’INTERVISTA

L’album presenta varie novità sul piano sonoro, senza per questo snaturare la tua storia passata. Come ci sei riuscito?
Tenendo presente quanto fatto fin qui, volevo realizzare un disco più maturo e diretto, essenziale nei suoni, sottraendo tutti quegli abbellimenti che spesso non servono a nulla. È scaturito un album pensato per essere ascoltato più volte, che ti “entra” piano piano dentro, con il tempo.

In un mercato “mordi e fuggi” dove i successi durano lo spazio di un mattino, tu chiedi attenzione e tempo. Perché questa contro tendenza?
La musica non deve avere solo una funzione di divertimento, ma recuperare anche il suo “vero” significato: quello di trasmettere emozioni, di stimolare momenti riflessivi, di suggerire sensazioni. Vorrei che la passione con cui canto e scrivo musica costringesse chi ascolta a fermarsi ogni tanto a pensare.

Impresa non facile in questo periodo.
In effetti, il momento è tragico, ma credo che la cosiddetta crisi della musica sia prima di tutto una crisi artistica, frutto della povertà d’offerta in circolazione. Invece, l’artista non deve fare i conti con il mercato o dare al pubblico ciò che si aspetta da lui, ma bensì esprimere quel che sente dentro di sé in modo rigoroso, senza compromessi.

Hai scritto prima il libro o le canzoni?
Sono nati quasi insieme. Tutto è cominciato da uno dei primi brani che ho composto, “Ferro e cartone”, con questo personaggio che annulla la sua memoria, svuota la sua casa e tiene solo quei pochi oggetti che servono a fargli riaffiorare i ricordi. Infatti, il ferro rappresenta le cose dolorose della vita, quelle che fanno male, mentre il cartone i momenti belli e positivi. E sono i “materiali” con cui il protagonista del brano si costruisce le sue ali. Da questa idea, ho imbastito il romanzo, che si è poi sviluppato in parallelo con gli altri pezzi del disco.

Album e libro fanno perno sui ricordi. Perché?
Io sono il risultato di ciò che ho fatto, la somma dei periodi belli e brutti della mia vita. Ritengo importante il passato: mi sono sempre guardato alle spalle per dare un significato al presente e un’ipotetica lettura al futuro. Come tutti, quando si apre la porta dell’esistenza, ho dovuto fare i conti con momenti dolorosi e felici: è fondamentale, però, prenderne consapevolezza per crescere.

“Il futuro mi preoccupa”

In quale misura la tua famiglia oggi e i tuoi genitori ieri hanno influenzato il tuo essere artista?
In maniera totale. Ambra e i miei figli, mamma e papà sono il centro della mia vita e, quindi, gli artefici di ciò che dico e faccio. E la novità dell’album è proprio che in questo viaggio musicale, per la prima volta, emerge un posto anche fisico in cui tornare: la casa, la famiglia. Ho sempre vissuto, da un lato, con il desiderio di avere un nido dove rifugiarmi, e dall’altro con la spinta di fuggire via. Un’inquietudine che oggi forse si è stemperata quando guardo mia moglie e i miei figli: in quel momento sono felice, anche se ho poi subito paura che questa felicità svanisca.

Forse perché non sappiamo più vederla nelle piccole cose di tutti i giorni.
È vero, ed è ciò che ho scritto anche nel libro. Talvolta non ci accorgiamo che è seduta vicino a noi, oppure la teniamo lontana e in qualche modo ce la dimentichiamo. Invece è nella quotidianità che si trova la felicità.

È la ruota di scorta che può servirci a sopportare gli inevitabili dolori della vita?
Sicuramente, ma non solo. Ci vuole anche la capacità di capire che i drammi servono a salire un gradino più in alto nell’esistenza, a farci vedere le cose in una prospettiva diversa. Le grandi gioie e i grandi dolori hanno avuto per me l’identico peso, mi hanno fatto crescere. Nell’amarezza, ho scoperto vicino a me qualcuno che mi ha dato una mano.

Sei padre. Ti spaventa il futuro per i tuoi figli?
Tantissimo, e l’ho gridato in “Angelo”, il brano con cui ho vinto a Sanremo. Mi preoccupa il vuoto che circonda ogni cosa, la scarsità dei messaggi che provengono dai media, prima di tutto dalla tv. Mi terrorizza che i sogni dei ragazzi siano indirizzati verso merce scadente messa in vetrina. Mi sforzerò di insegnare ai miei figli quei valori fondamentali che mi hanno trasmesso i miei genitori: da loro ho imparato a distinguere tra il bene e il male.

A proposito di valori, è per questo motivo che nella copertina dell’album c’è una citazione del Vangelo?
L’ho ascoltata una domenica che ho accompagnato mio padre a messa. Questa frase che mi ha profondamente colpito, e che sintetizza il mio percorso religioso e spirituale. L’ho cercata negli altri evangelisti, e tutti la riportano tale e quale. Vuol dire che è esattamente ciò che ha detto Gesù. È dirompente nella sua potenza evocativa e di straordinaria modernità. Già allora la gente non sapeva o non voleva interpretare i segni che il tempo stava dando, proprio come oggi. Si fermava alla superficialità, senza andare nella profondità dell’anima.

Cosa sognavi da ragazzo?
Sognavo di fare il cantante. Ho intuito subito che questo dono che ho ricevuto, la mia voce, poteva farmi prendere una buona strada. Non è stato comunque facile. Ho passato momenti di sconforto e fatto tanti sacrifici: solo sei anni fa sono riuscito a comprarmi un’auto. Nessuno, insomma, ti regala niente ed è giusto così. Non ho mai pensato, però, di cambiare rotta, e con un po’ di fortuna oggi navigo nel grande oceano della musica.

CLAUDIO FACCHETTI
Nilus
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©AGOSTINO LONGO
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